
Fino al 20 febbraio, al Teatro Franco Parenti è in scena Smarrimento, il monologo di Lucia Mascino, prodotto da Marche Teatro e scritto e diretto da Lucia Calamaro.
Lucia Mascino inaugura il suo nuovo percorso con una commedia esistenzialista dai tratti tragicomici. In un monologo di circa 50 minuti, l’attrice esplora un tema ricorrente, comune a tante opere legate alla contemporaneità: il blocco dello scrittore e la conseguente crisi dell’artista.
Si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera. Sì… Metà, ed è proprio quello il problema di Lucia: come proseguire? In una società dove ci si aspetta sempre qualcosa di nuovo, di più alto, di più stupefacente, la protagonista della performance, una scrittrice sotto consegna che viene invitata a rispettare una scadenza ormai alle porte, si ritrova a non saper più cosa vuole dire, non trovando, in primis, la sua stessa voce.
E come dare voce ai personaggi, se non si sa più qual è il loro scopo? La risposta di Lucia è semplice: ripercorrere tutta la strada, dall’inizio. Ma la strada dei personaggi si interseca con il suo passato e, probabilmente, si attorciglia in maniera inscindibile coi pensieri della stessa Lucia Calamaro, arrivando a produrre quella che si potrebbe definire, senza troppi dubbi, un’opera di metateatro.
Scrive nelle sue note la Calamaro: «Smarrimento è un dichiarato elogio degli inizi e del cominciare, di quel momento in cui la persona, la cosa, il fatto appare, o sbuca, creando presenza dove prima c’era assenza», ed è proprio in questa maniera che si presentano Anna e Paolo, i due protagonisti del romanzo che Lucia sta scrivendo: due presenze che, seppur immaginate, sono totalizzanti e riempiono gli spazi interagendo con l’ambiente che li circonda. L’appartamento della Mascino, un luogo bianco e quasi asettico, con un piccolo studiolo, un divano e una libreria, si trasforma prima nella casa di Anna e poi in quella di Paolo, che condividono l’affidamento di due figli, con tutte le complessità del caso.
Il tono della Mascino è scanzonato, informale, intriso di una comicità buffa e sincera: un umorismo fortemente sarcastico e autoreferenziale, che strizza l’occhio alle maggiori icone britanniche della risata sottile e femminista: da Bridget Jones ai personaggi di Sophie Kinsella, pseudonimo di Madeleine Sophie Townley, la Mascino riprende e fa proprio un sottogenere della commedia che non delude mai. Un’esibizione vera e sentita, da cui trasuda senza troppi filtri anche la voce della Calamaro, che condivide una visione del mondo affine alla Mascino e che ha trovato nell’attrice la perfetta interprete delle sue parole.
Un connubio equilibrato e ben riuscito, in cui l’unico punto interrogativo rimane la preponderanza di una meta narrazione che resta un po’ fine a sé stessa, senza arrivare a un punto preciso: in uno spettacolo che si pone molte domande e apre molte porte, qualche risposta, anche solo parziale, sarebbe interessante riceverla. Insieme a un’indagine degli inizi, sarebbe stata gradita una riflessione maggiore sui punti di arrivo, anche solamente ipotetici o metaforici, raggiungibili o meno.
Sarebbe curioso vedere, magari in una futura collaborazione tra le due artiste, un’opera che trasmetta, anche attraverso un analogo flusso di coscienza, oltre ai dubbi, i punti interrogativi e le paure delle due, anche qualche certezza, qualche punto saldo che trasmetta un barlume di speranza e, magari, funga a sua volta da nuovo inizio.
Jasmine Turani
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