Che l’attesa per vedere a Milano “Nascondino”, spettacolo scritto da Tobia Rossi e diretto da Fabio Marchisio, fosse tanta si capisce dal fatto che le poltrone vuote nel Teatro San Babila si possono contare sulle dita delle mani. Lo spettatore viene accolto in sala da un’atmosfera cupa e dalla bellissima scenografia realizzata da Selena Poppy Zanrosso che ricostruisce l’ambiente della caverna nella quale è andato a nascondersi Gio interpretato da Andrea Manuel Pagella.
Gio è infatti un adolescente scomparso nel nulla da qualche giorno, stanco di essere bullizzato a scuola e di essere, secondo lui, non amato dai genitori. Nel suo nuovo nascondiglio si sente al sicuro fino a quando non viene casualmente trovato da Mirko (Luca Vernillo De Santis), suo compagno di scuola. E mentre fuori le ricerche sono incessanti, tra i due ragazzi nasce un’amicizia che si evolve incontro dopo incontro in quell’umida caverna.
Il mondo esterno esiste solo in dissolvenza nei racconti di Mirko, il fulcro della storia è tutto in quel continuo confronto in cui vengono fuori le personalità di questi due adolescenti. Le loro paure, i loro primi amori, i loro sogni. Al tempo stesso, però, il rapporto tra loro diventa sempre più intenso in una storia con sfumature che sfociano nel thriller.
Lo sviluppo dei personaggi è sicuramente uno dei punti di forza del testo di Tobia Rossi vincitore del Mario Fratti Award a New York City nel 2019. L’autore torna così a parlare di adolescenti anche se siamo ben lontani dall’ironia e dall’ambiente radical chic di “Bagnati“, piuttosto ritroviamo alcuni problemi raccontati dalle disperate mamme di M.A.D. In poco più di un’ora non era facile far emergere così bene le personalità dei ragazzi, invece le loro storie giungono dritte al cuore dello spettatore. Ovviamente grande merito va ai due interpreti di 15 e 16 anni che si trovano perfettamente a loro agio sul palco non dando minimamente l’impressione di patire l’emozione per un debutto così importante come quello milanese. Mirko e Gio sono molto diversi tra loro e i due attori riescono a delineare benissimo i loro caratteri. Con le dovute distinzioni si può persino immaginare di rivedere in loro Michele e Filippo di Niccolò Ammanniti diventati ragazzi.
Con le loro parole si affrontano temi delicati per un adolescente come il bullismo, la sessualità, l’accettazione di se stessi, il rapporto con la famiglia e con i social network. L’importanza di questi argomenti prende il sopravvento anche sulla storia stessa che magari in alcuni piccoli tratti può apparire forzata.
A rendere ancora più immersiva l’esperienza ci sono poi le musiche di Eleonora Beddini che dettano bene i tempi e il climax di tensione della storia. Una colonna sonora in sorround 4.1 che trasporta il pubblico all’interno della grotta, c’è spazio anche per l’asmr e per l’olfatto con i profumi del cibo in scatola di Gio.
“Nascondino” non è solo uno spettacolo teatrale, ma un progetto pedagogico che racconta la formazione non solo dei due personaggi, ma anche dei due ragazzi che li interpretano raccontando il viaggio fatto fino al debutto sul palco. Un progetto seguito dal professor Raffaele Mantegazza, docente di Scienze umane e pedagogiche dell’Università Bicocca di Milano che spiega: “Due ragazzi che condividono uno spazio ristretto, i loro corpi, i loro odori, i loro pregiudizi e le loro sofferenze. Quello che si mostra nello spazio di questo spettacolo è un microcosmo dell’adolescenza e di tutte le sue difficoltà in un mondo che giudica, etichetta, condanna ma non capisce e forse soprattutto non ama. Una piccola grande tragedia che unisce e divide due sensibilità attraverso la carnalità delle loro presenze, recuperata e persa al di là dell’invasione degli schermi”.
Ivan Filannino
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