L’ultimo appuntamento del focus alla compagnia bolognese (S)BLOCCO5 è con Frankenstein, spettacolo in cuffia prodotto insieme a Elsinor Centro di Produzione Teatrale utilizzando la tecnologia audio binaurale.
La storia è un cult: uno studente di scienze naturali decide di creare un essere umano. Studia, uccide animali, recupera parti anatomiche dai cadaveri. L’esperimento è un successo imprevisto: la Creatura nasce, bellissima e forte. Il suo creatore però si dispera. Ne ha paura. Perché? È questo il vero mistero del romanzo: perché Frankenstein reagisce come fa, perché non è orgoglioso del suo lavoro?
Scopriamo che neppure l’autrice, Mary Godwin Shelley, è del tutto a suo agio. Anzi, per tutta la vita smentisce e ridimensiona la portata letteraria della sua opera e il suo interesse verso di essa. Dovrebbe essere felice del capolavoro che ha creato e invece fa di tutto per sminuirne la maternità. La risposta? La Creatura è il Libro.
Lo spettacolo è un originale rovesciamento del modo con cui guardiamo all’opera di Mary Shelley e alla sua inquietante creazione.
Questo allestimento racconta un’epoca in cui essere donne e artiste poteva essere un serio problema, in cui ci si poteva sentire “mostruose” se si partorivano libri invece di figli o se si conviveva con un uomo invece di sposarlo. Si racconta di un’epoca in cui una Creatrice teme la genialità della sua Creatura ed è costretta a giustificare la grandezza delle sue ambizioni.
Tra cuffie wireless, ambientazioni virtuali e audio in binaurale, lo spettacolo è un viaggio onirico nel romanzo e, al contempo, nell’emotività della sua autrice, che confonde se stessa col dottor Frankenstein, la Creatura con l’Opera e i personaggi con i ricordi.
Note di regia
Leggendo Frankenstein due cose hanno attirato la mia attenzione. La prima è la definizione di creazione dal Caos: il dottore non crea qualcosa dalla sua assenza (come una donna) ma dal troppo pieno, cioè dall’iper-presenza. La seconda è il vero mistero del romanzo: perché Frankenstein non è orgoglioso della sua creazione.
Mentre leggevo in molti punti provavo una sensazione di fastidio. C’era qualcosa nei personaggi che mi irritava profondamente. Li trovavo superficiali, deboli e, soprattutto, incredibilmente fragili.
Ho collegato i punti per darmi una risposta e iniziato a leggere la storia della fanciulla che scrisse Frankenstein: le sue introduzioni, i suoi ripetuti interventi per ridimensionare la portata letteraria della sua opera, delle sue stesse doti, come se la scrittura fosse un’attività secondaria rispetto al suo felice ruolo di moglie vedova e madre. È lei a dichiarare in più punti di non essere capace di creare dal nulla come i suoi illustri colleghi poeti – e come un vero artista dovrebbe fare – ma solo dal caos, dal troppo pieno: sostiene di aver rubato
la storia da conversazioni tra Percy Shelley e il grande Byron, loro sì, veri geni, creatori riconosciuti e in grado di mostrare le loro opere alla luce del sole; è lei a dire che è stato suo marito a desiderare che diventasse un romanzo (mentre lei si sarebbe accontentata di una novella scritta per gioco in una notte di tempesta). Insomma: Mary dovrebbe essere felice del capolavoro che ha scritto e invece fa di tutto per sminuirne la maternità. Molti intellettuali le chiedono in toni garbatamente inquisitori per quali ragioni una giovane di buona famiglia della sua età nutrisse dentro simili fantasie mostruose.
Il romanzo è una visione di futuro: espressione della creatività femminile libera di raggiungere gli stessi gradi di quella maschile. Mary attraverso la sua opera ha visto un potenziale di se stessa, un femminile nuovo.
La storia di Frankenstein è sempre stata etichettata come distopica: il futuro senza Dio, l’uomo che crea artificialmente esseri che non è più capace di controllare, o a cui non vuole riconoscere dignità sociale.
E invece Mary è figlia di due progressisti di prim’ordine: William Godwin era un politico e filosofo attivo per i diritti di tutte le classi sociali e per il concetto di uguaglianza, Mary Wollstonecraft una scrittrice ed intellettuale femminista di fama nazionale quando esserlo era tutt’ altro che scontato. E perciò Mary non può che scrivere una Grande Utopia: la realizzazione di un’epoca in cui maschile e femminile non sono più categorie classificatorie delle facoltà intellettive e delle potenzialità, in cui la diversità non venga più percepita come mostruosa, in cui un modello di essere umano nuovo e migliore non ci faccia paura.
La Creatura era bellissima: il dottore ha sbagliato nel momento in cui ne ha avuto paura.
Perché ha avuto paura di se stesso, del suo meglio e del suo futuro.
Ivonne Capece
FRANKENSTEIN
Spettacolo in cuffia
Regia Ivonne Capece
Con Maria Laura Palmeri (in scena), Lara Di Bello e Giuditta Mingucci (in video)
Drammaturgia Ivonne Capece
DOVE? Teatro Fontana
QUANDO? dal 28 al 31 ottobre
PREZZI: intero 23 €
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