
Massimiliano Loizzi porta al Teatro della Cooperativa un’Opera da 3 soldi come mai la si è vista prima. Infatti, soldi non sono più 3, ma sono diventati 4. L’autore lo spiega nel sottotitolo del suo spettacolo “ovvero come avrei fatto L’Opera da 3 soldi se avessi avuto i soldi per fare L’Opera da 3 soldi”. Questione di budget e forse l’inflazione in 100 anni ha portato all’aumento di un soldo. Era il 1928 quando il testo di Bertolt Brecht veniva messo in scena per la prima volta e dopo 96 anni il lavoro fatto da Loizzi è impressionante, sia per il sorprendente adattamento sia per come riesce a rendere ripresentabile la storia anche ai giorni nostri. Brecht voleva dimostrare che i delinquenti di strada non erano così diversi dai governanti nei palazzi del potere, situazione che troppo spesso si ripropone anche oggi.
Un avvio didascalico, ma per nulla noioso, serve ad introdurre il pubblico alla trama e alla struttura dell’opera. Si inizia così a capire dove vuole arrivare l’attore, ma quello che colpisce più di tutto è la sua capacità di passare dal suo inconfondibile stile da stand up comedy fatto di frecciatine al pubblico, citazioni di canzoni (stavolta l’onore tocca agli 883), frustate ai politici, all’immersione nell’opera originale riproposta con i giusti accorgimenti. Ogni personaggio viene curato nei minimi dettagli e l’interpretazione di Loizzi è sempre emozionante. La struttura dello spettacolo ricorda un po’ The King, andato in scena proprio due anni fa, ma stavolta l’attore si addentra ancora di più nell’opera originale rispetto a quanto fatto con il Riccardo III di Shakespeare. Vengono presentati il protagonista Mackie Messer, Peachum e la moglie, il capo della polizia Tiger Brown.
Il rispetto al testo di Brecht si mostra anche nell’utilizzo delle canzoni per un’opera che tocca anche note di pure rock con Breathe dei Prodigy e momenti più leggeri scanditi da Somethin’ stupid di Frank e Nancy Sinatra. Ovviamente non poteva mancare “Die Moritat von Mackie Messer” nella sua versione italiana “La ballata di Mackie Messer”. I cartelli tanto cari al drammaturgo tedesco diventano proiezioni sul maxischermo alle spalle dell’attore, ancora più grossi, ancora più luminosi e ancora più accusatori. Perché, se dopo cent’anni bisogna ancora ricordare gli errori e gli orrori allora che si faccia in maniera ancora più vistosa. Dai femminicidi alle morti in carcere fino ad alcuni nomi che non vanno cancellati dalla memoria come Carlo Giuliani, Giuseppe Pinelli, Stefano Cucchi. Nel 1928 il dito era puntato contro i governanti e contro la società che osservava passiva e l’accusa non è cambiata dopo 96 anni, la società continua a rimanere inerme e a girare lo sguardo dall’altra parte facendo finta di non vedere.
A qualcuno magari è mancata la simpatica presenza di Ambrogio sul palco (storico personaggio di Loizzi), ma quest’opera da 4 soldi ha lasciato il segno, una risata in meno sostituita da una riflessione in più senza però mai sbilanciarsi e perdere l’equilibrio.
Ivan Filannino
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