
A volte per ricreare e molto, basta poco. Non sempre anzi quasi mai la fatiscenza riesce poi an andare a braccetto con la sostanza. Due musicisti, Alessandro Nidi, al pianoforte ed Emanuele Nidi voce e chitarra, due narratori, il romagnolo Cesare Pomarici, professore e attore e Federico Buffa, che dismette lo speakeraggio di vicende sportive per sposare la prosa tout court: prova superata a pieni voti. Con quel tocco di sana e non affettata umiltà che lo porta a sussurrare agli astanti qua e là, prima e dopo la pièce: “Grazie di essere venuti” .
Poi, la storia, prende forma e viene fuori, quasi da sola. In fondo, aveva ragione Seneca: da un’idea, sgorga tutto. L’idea, di Luca Gnudi, detto il “Buono “direttore di produzione e tecnico del suono, collaboratore, gomito a gomito, h 24, con e di Lucio, è quella di creare una sorta di ermeneutica dell’ultimo giorno, terreno, di Lucio Dalla. E di farlo, in modo diverso da solito. Niente tristezza da ricordo. Né tantomeno, alcuna, patetica, rivisitazione nostalgica. Ma questi quattro moschettieri di Lucio, gli fanno spazio, come fosse ancora lì e volesse raccontare, lui stesso, cosa successe quel giorno, mercoledì 29 febbraio 2012, che sarebbe coinciso anche con l’omega esistenziale della sua vita.
Lo storitelling fa conoscere meglio risvolti della vita di alcuni artisti. Questo spettacolo permette invece quasi di vedere ancora all’opera lui, Lucio Dalla da Bologna, la dotta. E dotto è il gioco scenico per parlare di lui, per portare a lui. “Ho scoperto questo Dio, non è quello dei filosofi!“. Ebbe a dire in punto di morte Blaise Pascal alla sorella Jacqueline. E durante e dopo lo spettacolo, vien da dire: abbiamo scoperto questo Lucio, non quello dei media. Nemmeno quello dei musicologhi. E neppure quello dei sapientoni d’avan spettacolo.
Quello che si è assistito all’Oscar l’8 ed il 9 maggio, è un Lucio vero, nudo e crudo, bello e terribile come la natura nel dialogo dell’islandese di Leopardi, maestro segreto ma non troppo di Lucio e faro silenzioso in tutto il suo percorso musicale ed umano.
Così Montreux, città dell’ultimo giro di valzer del cantante, diventa la prima cosa bella , trama ed ordito della vicenda. Luogo della fine di Lucio, ma anche fine dei luoghi comuni sul suo conto. Di quello sparlare su un personaggio così, a vanvera, senza nemmeno conoscerne storia e pensiero, tipico, della fretta da tastiera del secolo in corso.
La stanchezza che via via ne intorpidiva il corpo e ne deturpava l’anima, il calendario, fitto di date. Gli amici, di sempre e quella voglia eccedente e un po’ bohèmienne di vita e di avventure, di riconoscersi in qualcosa e di cercare qualcuno.
Gli assoli dei due musicisti (da brividi Alessandro Nidi al pianoforte). Le parole dei due narratori. Due per due però, qui ,non fa quattro ma è una moltiplicazione sonora e narrante che ottiene sul taccuino dei presenti un unico grande risultato: Lucio. Riproduzioni di emozioni che rompono il velo di Maya sulle ultime ore di Lucio, anzi, ne tratteggiano il suo “tra mezz’ora“, declinazione del tempo amata dal cantautore a dispetto di un tempo troppo cronologico, di un futuro, sempre troppo ignoto.
Così, quegli ultimi frames della vita di Lucio, diventano, per lo spettatore, le prime luci di un’alba rivelativa sulla e della sua vita; una sorta di lettera aperta degli eventi di Lucio ai suoi amici o a chi semplicemente, ha la curiosità di conoscerlo un po’ piu da vicino. Prosa intervallata dai suoi brani in scaletta in quel concerto a Montreux quel febbraio 2012. E queste melodie inframezzate dai racconti. Armonia sovrana, la noia è, totalmente, in fuorigioco .
Montreux è dunque il porto dove la barca, concitata, mai davvero riposata della sua persona, isserà bandiera bianca.
L’ultima luna di Lucio Dalla è lì a dipingere quella sera. Davanti a lui, la statua di Freddy Mercury a Montreux. Ma forse quella luna sapeva che doveva guardare quell’errabondo cantastorie in modo nuovo, come una straordinaria ultima vez. Fa una foto ma esce troppo scura. Allora prorompe in un “Ciao grande Freddy, ci vediamo domani“. Ma quel domani, resterà incastonato dentro quell’oggi così accelerato.
“Parlare come se fosse l’ultima volta, è privilegio di pochi. Ogni volta è sempre anche l’ultima volta. Non solo perché il futuro è ignoto. Ma perché ciò che accade porta con sé l’intero mondo, nella circostanza di quell’accadere“. Ebbe a dire una volta il filosofo teoretico Carlo Sini. Già privilegio di pochi. Cifra dell’andare, senza poi la bega di chissà quale meta preimpostata, di Lucio Dalla. Briciola, come lo chiamavano da bambino. Una Briciola capace di far lievitare prima e di rendere croccante poi il pane della sequela di varie generazioni, che ancora oggi se ne nutre. Quattro performer, un pianoforte, due microfoni, un paio di leggii. Si, non sbagliava Saint – Exupery: l’essenziale è invisibile agli occhi. Il futuro e’ tra mezz’ora. Ecco, finalmente, senza i fronzoli della retorica, senza i cavilli di facili nasi storti, il Lucio essenziale.
Luca Savarese
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