Made in Ilva, tragedia contemporanea: intervista a Instabili Vaganti

instabili

A dodici anni dal debutto, dopo essere stato presentato nei più importanti Festival internazionali e aver raccolto premi e riconoscimenti in tutto il mondo, di nuovo in scena lo spettacolo Made in ILVA a Milano grazie alla compagnia Instabili Vaganti sulla vicenda dell’ILVA di Taranto dal 23 al 26 marzo al Pacta dei Teatri, nell’ambito della rassegna Donne, Teatro, Diritti.

Lo spettacolo, definito come un esempio di biomeccanica contemporanea, trae ispirazione dalle esperienze personali della regista Anna Dora Dorno e dal diario di un operaio tarantino deceduto e pubblicato postumo dalla moglie, che appaiono come frammenti di testi nella drammaturgia originale, assieme alle interviste agli operai dell’acciaieria tarantina e le citazioni dalle “Poesie Operaie” di Luigi Di Ruscio e dal racconto “LENZ” di Peter Schneider.

In scena il performer Nicola Pianzola, protagonista indiscusso dell’opera, che incarna la figura dell’operaio e diventa archetipo di un’umanità imprigionata nelle regole schiaccianti della società dei consumi. L’attore spinge il proprio corpo all’estremo attraverso funamboliche sospensioni, per reagire al processo di “brutalizzazione”, compiendo azioni acrobatiche e ripetitive in strutture metalliche e interagendo continuamente con suoni ossessivi in cui le note si intrecciano col canto di una voce femminile – la stessa Dorno – che gli ordina “Lavora! Produci! Agisci! Crea!”.

Per saperne di più e stuzzicare la fantasia di chi ancora non avesse visto questo importante e necessario spettacolo, abbiamo contattato Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola ai quali abbiamo chiesto loro…

Anna Dora, quando decidete e perché di mettere in scena Made in ILVA?

Nel lontano 2008 stavamo lavorando ad un progetto di ricerca, Running in the fabrik, in cui volevamo indagare la condizione di oppressione generata dai ritmi frenetici della società contemporanea. Una critica al sistema capitalistico che si è poi esplicitata in una critica ad un sistema che io, essendo nata e cresciuta in provincia di Taranto, conoscevo da vicino, la produzione industriale dell’ILVA con tutto ciò che ad essa è connesso: la condizione di degrado ambientale, il processo di alienazione e brutalizzazione dell’individuo, il dramma degli incidenti sul lavoro, il dissidio umano che provano i lavoratori o i giovani costretti a fuggire dalla città, la continua tensione tra la volontà di evadere da quella “prigione” e la necessità di sopravvivere e quindi di lavorare in condizioni disumane, l’eterno ricatto salute- lavoro.

All’epoca, il caso ILVA non era ancora “scoppiato” e i primi studi nati nell’ambito del progetto, Running in the Fabrik (2008) e successivamente L’eremita contemporaneo (2010) portavano alla luce una cruda realtà ancora troppo taciuta. È nel 2012 che lo spettacolo assume la forma che tutt’oggi conserva con il titolo di Made in ILVA, che nella stagione 22-23 festeggia appunto il suo decennale.

Durante la stesura dello spettacolo vi siete censurati oppure avete scritto tutto quello che doveva essere detto?

Anna Dora Dorno

No, non ci siamo mai censurati, né mai abbiamo pensato di farlo.

In realtà oltre che “detto” noi pensiamo di aver “fatto” quello che ci sentivamo di dover fare. Mi ricordo che quando abbiamo portato lo spettacolo a Taranto abbiamo ricevuto una telefonata da un Assessore che ci chiedeva “velatamente” di dare un messaggio positivo e si augurava che lo spettacolo potesse dare speranza ai cittadini. In realtà, il nostro spettacolo non basa la sua efficacia nel trattare la vicenda dell’ILVA di Taranto attraverso una denuncia testuale di fatti e o dati specifici, al contrario cerchiamo di utilizzare una narrazione archetipica in grado di universalizzare il contenuto affrontato consentendo allo spettatore di calarsi nel contesto di riferimento e di identificarsi nel protagonista, insomma come ha fatto presente una giovane ragazza al termine della nostra ultima data ci interessa creare le basi per una “tragedia contemporanea”, in cui le istanze dei cittadini possono emergere in chiave poetica.

In scena il diario di un operaio che scriveva poesie e le poesie di un operaio poeta (Luigi Di Ruscio), con Made in ILVA usciremo più emozionati o più informati sul caso ILVA?

Anna Dora Dorno

Direi sicuramente più emozionati, e speriamo che l’emozione susciti curiosità e stimoli lo spettatore ad informarsi. Ci piace sempre lasciare una certa autonomia a chi partecipa alla rappresentazione, non vogliamo dare solo la nostra versione dei fatti ma lasciare che il giudizio nasca da un’esperienza vissuta. Il teatro per noi dovrebbe appunto consentire allo spettatore di essere parte di un’esperienza collettiva, di un rito che si compie e di conseguenza di un evento che produce un cambiamento.

Anche per questo abbiamo deciso di far dialogare le testimonianze degli operai con la poesia, di trasporre in arte “la fabbrica”, trasformare lo sporco, la fatica, la ripetizione alienante, i ritmi frenetici, in un atto poetico ed estetico. Anche il nostro operaio, rinchiuso nella fabbrica – prigione e vittima del processo di brutalizzazione, “s’illumina”, quando “in certe ore entra nel reparto una chiazza di sole, e lo sporco è schiarito come nelle immagini dei santi”.

Nicola, quali sono le differenze tra l’oggi e lo spettacolo di dodici anni fa, se ce ne sono?

Made in ILVA è uno spettacolo che ha cercato la sua forma attraverso il processo. Nei primi due anni di circuitazione del lavoro, abbiamo continuato a lavorare ad alcuni punti del montaggio e ai ritmi, fino a quando abbiamo sentito “da dentro” che il processo era compiuto, ossia, che al termine dello spettacolo, uscivamo come purificati, senza bisogno di aggiungere altro, come al compimento di un rito. Personalmente, data la mole di energia e lo sforzo fisico richiesto dalla performance, durante le prime repliche, tornavo in camerino con il corpo ancora tremante. Sentivo che, anche se il pubblico aveva compiuto il proprio percorso catartico, io avevo ancora una tensione inesplosa trattenuta nelle membra. È stato grazie alla ripetizione e il lavoro sui dettagli che, replica dopo replica, dopo i primi due anni, abbiamo trovato la giusta sequenza e il giusto ritmo della performance. Il termine di ogni replica coincide ora perfettamente con il compimento di un processo anche da parte mia, di una catarsi che passa attraverso l’azione fisica. Inoltre, le interpretazioni in più lingue, hanno contribuito ad arricchire di sfaccettature e dettagli la presenza scenica del nostro operaio – status symbol, rendendolo una icona universale, riconoscibile in ogni paese in cui presentiamo lo spettacolo.

Devo ammettere però, che nell’arco di 12 anni, il corpo cambia, e questo da un lato ha rappresentato per me una bella sfida, nel mantenere il livello di energia e tenuta fisica, dall’altro mi ha dato consapevolezza dell’esperienza maturata in quasi 300 repliche.

Quant’è importante affrontare in Teatro uno spettacolo/tematica come Made in ILVA?

Nicola Pianzola

Crediamo in un teatro in grado di coniugare etica ed estetica, di intervenire sulla realtà, di modificarne la percezione, di veicolare messaggi importanti. La nostra è una concezione arti-vistica e concepiamo la nostra ricerca, il nostro agire scenico come un’azione globale, in grado di generare azioni future, di portare cambiamento nella coscienza individuale e collettiva. Con questo spirito, abbiamo sempre concepito il nostro spettacolo come uno strumento, prima di tutto, di confronto, su una tematica ahimè attuale e globale. Questo ha innescato riflessioni più ampie, che partono dal caso ILVA per analizzare situazioni di altri Paesi dove lo spettacolo ha circuitato.

Personalmente, avverto che in questa epoca post pandemica, vi sia un po’ la tendenza a non voler affrontare tematiche importanti e impegnative negli spettacoli, a cercare il tanto anelato svago, la distrazione. Credo che invece sia proprio in questo momento che un teatro civile e impegnato possa indicare nuove vie da percorrere e far sentire lo spettatore attivo e partecipe.

Made in ILVA è andato in scena in più di 15 Paesi nel mondo, tradotto in inglese, spagnolo e francese. Come reagisce lo spettatore estero rispetto allo spettatore italiano?

Nicola Pianzola

Dipende molto dal Paese, e dalle sfumature di significato che lo spettacolo assume in quel contesto. Alcuni spettatori si sono molto immedesimati nel personaggio e nella vicenda. In Cina ho sentito il pubblico piangere, forse ricordando il disastro industriale di Tianjin. In India la relazione con gli spettatori è stata empatica e molti di loro ci tenevano a raccontarmi le proprie giornate di lavoro di cui ritrovavano diversi aspetti nello spettacolo; in America Latina il nostro operaio è diventato il lavoratore italiano emigrato in Sud America, mentre in Svezia mi hanno chiesto se si trattava di una favola inventata, dato che per loro le condizioni di cui parlavamo erano difficili da concepire come reali. Quello che accomuna le reazioni e le impressioni degli spettatori, sia in Italia che nel resto del mondo, è sicuramente l’emozione che passa attraverso lo strumento universale del corpo, che sembra oltrepassare qualsiasi differenza.

A proposito di spettatori, vorreste che entrassero in empatica con la messa in scena o trarne un proprio significato?

Nicola Pianzola

Come dicevo, grazie anche alla vicinanza con lo spettatore (parte del pubblico è disposto ai lati della scena, molto vicino all’azione, dentro alla stessa fabbrica) si stabilisce una relazione empatica, una condivisione di uno stesso processo. Ognuno però, anche in virtù del proprio background socio culturale, inizia a vivere un proprio racconto, a connettere ricordi personali a quelli evocati dal performer, a dare un nome alla propria “prigione”.

A differenza di altri spettacoli, molti spettatori vogliono condividere con me le loro storie personali: dall’ex operaio dell’ILVA che mi confessa che ho riassunto i suoi 30 anni di lavoro nell’impianto in 50 minuti, a chi ricollega il processo di brutalizzazione a momenti difficili della propria vita non solo legati al lavoro, a quelli che vorrebbero ribellarsi ai ritmi a volte incessanti imposti dalla società ma che continuano a seguire quella voce che ordina loro:

“lavora, produci, agisci!”

Nicola, c’è una domanda che vorresti fare al pubblico presente al Pacta dei Teatri?

In effetti vi è già una domanda che durante lo spettacolo pongo apertamente al pubblico puntando con il dito nel buio alcuni spettatori:

“E voi? Che sogni sono i vostri, di notte, voglio dire, davvero voi siete felici?”

Dopo aver studiato e scritto sul Caso ILVA vi siete chiesti se è possibile una fabbrica sostenibile,

vista la situazione ambientale odierna?

Anna Dora e Nicola

In Svezia, al termine dello spettacolo ci hanno regalato un libro della fabbrica Volvo con foto in bianco e nero di operai sorridenti, come a ribadirci che la fabbrica non è solo luogo di alienazione, inquinamento, malattie, morte. Anche noi pensiamo che dalla volontà di lavorare, di creare, di produrre qualcosa di utile non debbano scaturire solo conseguenze negative per l’uomo e il pianeta. Ma come fare? Soprattutto nell’impianto dell’ex ILVA? Come trasformare un’area industriale grande tre volte la città di Taranto, che per anni non ha aggiornato i suoi impianti e che quindi ormai è davvero vetusta, in qualcosa di sostenibile? Crediamo che le risorse necessarie per una tale trasformazione siano attualmente incompatibili con le attuali logiche del sistema capitalistico e che forse l’unica soluzione sarebbe una riconversione. In generale, dovrebbero cambiare molte logiche a livello globale perché avvenga un cambiamento anche a Taranto. Certo ognuno può fare qualcosa nel suo piccolo, noi, per esempio, abbiamo deciso di sottoporre all’attenzione del pubblico la questione ILVA proprio per far sì che la gente sia informata e possa essere in grado di scegliere ed eventualmente giudicare non solo per questioni passate ma anche e soprattutto per scelte da compiere nel futuro.

Anna Dora ultima domanda, se posso, com’è nata la collaborazione con il Premio Oscar Riccardo Nanni e quanto sono importanti le musiche in uno spettacolo come Made in ILVA?

In questo spettacolo le musiche sono di fondamentale importanza perché rappresentano l’elemento in grado di rendere percepibile il contrasto tra i ritmi della fabbrica e del lavoro seriale e quelli organici e naturali del nostro corpo. L’attore genera ritmo attraverso le sue azioni e la musica ne segue l’andamento per trasformarsi poi in una melodia. Abbiamo iniziato a collaborare con Riccardo per elaborare una nuova versione delle musiche di scena sulla traduzione del testo in Inglese. I ritmi dettati dal testo sono infatti diventati più rapidi, sincopati e così la musica ha seguito tale cambiamento, andando ancora di più nella direzione del suono industriale, delle ambientazioni oniriche distopiche, dei ritmi ossessivi simili a quelli di un “rave” e delle chitarre elettriche con sonorità metalliche, che si alternano alla melodia poetica dei pianoforti sintetici. Riccardo ha lavorato alle musiche dello spettacolo come alla colonna sonora di un film e quindi non solo nell’ottica di un “accompagnamento” ma inserendosi a livello drammaturgico vero e proprio, collaborando costantemente con il performer e la regista.

Una tragedia purtroppo ancora attuale. Made in ILVA, uno spettacolo necessario, uno spettacolo importante, uno spettacolo da vedere assolutamente!

MADE IN ILVA
dal 23 al 26 marzo 2023 – Pacta dei Teatri
Regia Anna Dora Dorno
Con Nicola Pianzola
Musiche originali Riccardo Nanni

sinossi

spettacolo di impegno civile, reinterpreta in chiave universale la condizione dei lavoratori della ex ILVA di Taranto, per dare uno spaccato della nostra era contemporanea e portare l’attenzione sui diritti dei lavoratori e le tematiche ambientali.  La trasposizione artistica fa riferimento alla vicenda reale dell’acciaieria più grande d’Europa che condiziona ancora oggi la vita dell’intera città di Taranto e dei suoi lavoratori, intrappolati tra il desiderio di fuggire dalla gabbia d’acciaio incandescente e la necessità di lavorare per la sopravvivenza quotidiana.

CURIOSITA’

Le musiche originali, appositamente composte sui movimenti del perfomer Nicola Pianzola, sono firmate dalla stessa Dorno e dal compositore Premio Oscar, Riccardo Nanni.

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