Intervista a Marco Cacciola

marco cacciola
foto Stefano Aletto

Ascoltare per sentire il silenzio

di Marco Cacciola

Il Teatro Fontana di Milano ci riprova e riprogramma due produzioni Elsinor dove il tessuto sonoro si fonde e dialoga con l’artista sulla scena ovvero il bravissimo Marco Cacciola.

Come attore il suo percorso artistico è stato legato per più di 10 anni ad Antonio Latella, sotto la cui direzione ha preso parte a molti spettacoli in Italia e all’estero.

Come regista e autore ottiene premi e riconoscimenti, portando avanti la sua personale ricerca in teatro, cercando di affrontare soprattutto ciò che non conosce.

Quest’oggi conosceremo Marco in tutte le sue sfaccettature: autore, regista e attore.

IO SONO. SOLO. AMLETO

Teatro Fontana – Milano
dal 26 al 27 ottobre 2021
di e con Marco Cacciola
drammaturgia Marco Cacciola, Marco Di Stefano
con testi originali di Marco Cacciola, Lorenzo Calza, Marco Di Stefano, Letizia Russo
Foto: Lorenzo Pari

Marco finalmente torni in scena al Fontana, dopo una pausa forzata che tutti noi ormai sappiamo, con lo spettacolo che parte dal testo shakespeariano per attraversare i dubbi che fondano il nostro tempo: dal rapporto tra padri e figli alla relazione tra leader e società, dalle dinamiche di potere, sia nella dimensione pubblica che in quella privata, alla ricerca di una giustizia che si specchia nella vendetta. Ho letto che il testo shakespeariano è assente eppure evochi tutti i personaggi, addirittura Ofelia è in scena e non voglio svelare come…

Domanda, chi è l’Amleto che porterai in scena?

In questa scrittura originale a più voci, in cui ho chiesto ad autori che stimo molto di “sprofondare” in un tema/personaggio lasciando loro la massima libertà, mi sono approcciato come un chimico in un laboratorio, con vetrini e reagenti, divertito nell’andare sempre più verso il nucleo della scrittura. Ne sono usciti quelli che chiamo affondi, testi preziosi di Letizia Russo, Lorenzo Calza, Michelangelo Dalisi e Marco Di Stefano.
Devo ringraziare Marco anche per avermi aiutato a creare una drammaturgia di drammaturgie, legando tutto. Anche io ho scritto, mi sono regalato la sfida di scrivere un pezzo di stand up comedy all’interno della tragedia. E poi ho deciso che anche in scena avrei dovuto mantenere quel ruolo di “interprete”, sia per tradurre in scena al meglio ciò che è stato scritto, riducendo magari il testo a un’immagine o un’azione, sia per darmi la libertà di avere a che fare con l’irrappresentabile. In scena da solo, con questo materiale e il “genitore” da cui proviene, si può solo indagare ogni volta, interrogarsi sinceramente, guardarsi da dentro e da fuori, esplorare i limiti, insieme agli spettatori.
In scena c’è colui che interpreta
Amleto.
In realtà le parole di Shakespeare sono presenti nella bellissima traduzione di Letizia Russo del monologo
Essere o non essere, che ho voluto mantenere per darmi un appuntamento con l’impossibile, con l’incapacità di rappresentare parole così note e ripetute.

Essere o non essere. La questione qual è? dell’essere piuttosto che il non essere?

Come detto questo monologo è un’occasione di riflessione.
Rifletto realmente ogni volta su quelle parole, ci provo pubblicamente, lottando contro l’abitudine al dire, la ripetizione delle belle parole, raccogliendo ciò che nel lavoro è accaduto prima. In quel momento il confine è massimo, la crepa si fa larga, siamo tutti dentro a quell’ombra, ma non voglio lasciarmi andare all’emotività, desidero lasciare spazio a ciò che accade alle persone presenti, senza “condurre” troppo, quindi lo consegno ecco, non saprei come dire meglio.

Possiamo, se ti va, spiegare il titolo di questo spettacolo…

Spiegare a teatro, giammai!
(ride)
Spero che chi parteciperà si faccia le mie stesse domande su:
Io sono? L’identità, il linguaggio e quindi la creazione
Solo? La solitudine di questo mondo
Amleto? L’arte, e quindi di nuovo la creazione e il suo senso

Meglio di così… perfetto!
Io sono. Solo. Amleto.
È una riflessione sull’arte e parte da una precisa domanda: come si fa a uccidere un padre quando è già morto? Avremo la risposta oppure usciremo con qualche dubbio in più?
(dubbi che si celano dietro il silenzio…)

Quando ho deciso, per la prima volta nella mia vita, di iniziare un progetto da solo (l’inizio del percorso di questo lavoro è precedente a Farsi Silenzio) ero in una profonda crisi creativa. Nonostante stessi lavorando come non mai nella mia carriera, c’era qualcosa che mi bloccava. Studio Amleto da quando ho incontrato il teatro, ed è stato naturale tornare a questo simbolo, a questa riflessione sull’eredità dei padri e dei maestri. O almeno, ora l’ho messo sotto a questa lente. Tra 10 anni probabilmente lo affronterò da un altro punto di vista, perché c’è un Amleto per ogni epoca e per ogni fase.
Sono ripartito dall’inizio, dal chiedermi perché gli unici due giovani che sembrano rappresentare una speranza per il futuro, Amleto e Fortebraccio, hanno lo stesso identico nome dei loro padri. Siamo costretti a ripercorrere le loro orme, condizionati dai loro insegnamenti? Diventeremo uguali a loro, diventeremo loro? All’inizio volevo andare contro, “ucciderli” dopo averci combattuto, ci sta, è una fase naturale e scontata. Ma ora, riflettendo sulle storie che ci portiamo tutti sulla pelle, sono in una fase in cui mi chiedo se è possibile tracciare ognuno il proprio sentiero, singolo e collettivo, senza tralasciare ciò che ci è stato donato, anche di profondamente sbagliato, da chi ci ha preceduto. Può comunque servire a concimare il terreno che decidiamo di calpestare e coltivare.
In conclusione, senza dubbi non si va da nessuna parte, questo è il testo del dubbio!

FARSI SILENZIO

Teatro Fontana – Milano
dal 28 al 29 ottobre 2021
di e con Marco Cacciola
drammaturgia Tindaro Granata
suono Marco Mantovani
Foto: Stefano Aletto

Subito dopo in scena con uno spettacolo molto ‘intimo’
Farsi silenzio
Quanto abbiamo bisogno di silenzio?

In generale ne abbiamo molto bisogno, in questo momento moltissimo.
Il silenzio è un “luogo” da abitare, anzi da coltivare. Riuscire a ricreare quel nido in cui rifugiarci, ci aiuta anche a ritrovare poi gli altri nella parola. So che è difficile per noi che viviamo nelle grandi città e ci sentiamo sempre invasi dal “rumore”, ma sono convinto che abbiamo la capacità di farlo anche a Milano se vogliamo.

È più importante ascoltare o sentire il silenzio?

Ascoltare per arrivare a sentire.
Ovviamente non il silenzio come concetto di assenza di suono, che è impossibile, ma quella condizione di predisposizione ad accogliere che potrei definire silenzio, quel posto dove posso accogliere le parole altrui o i suoni del mondo senza per forza infilarli subito dentro a un mio discorso, ma lasciando che mi arrivino senza giudicarli, a volte anche senza capirli, onestamente.

Che valore ha nella tua vita il silenzio?

Per uno come me, che parla molto, è una continua ricerca. Il tentativo di porsi in dialogo con se stessi, o di lasciare lo spazio agli altri. A volte ci riesco, a volte no.
Ma pensare il dialogo più come uno scambio di silenzi che di parole mi aiuta, mi permette di cercare un equilibrio tra il mio ego e quello del mio interlocutore. Quando invece sono da solo è una gioia, perché mi diverte sentirne le mille sfumature, mi ci perdo proprio!

Nel silenzio si nascondono più domande o risposte?

È una domanda difficilissima per me.
Ho passato anni ad esaltare le domande rispetto alle risposte, anche con quella retorica da teatrante, per poi affannarmi come tutti a cercare spesso solamente le risposte, e magari a domande sbagliate.
Credo che dovrei sforzarmi di dare importanza a entrambe, perché in fondo non esiste l’una senza l’altra, ma cercando di dedicarmi solo a quelle veramente utili o importanti o sincere, chissà.
Ci sto lavorando

Il buon Dio ci ha donato due orecchie e una bocca, meglio ascoltare (o sentire) il doppio o parlare la metà?

Penso che le cose debbano andare di pari passo, ascoltando, e sentendo, anche il proprio bisogno di quel momento. Ascoltare tanto è un dono che si fa a se stessi e agli altri, ma riuscire poi a esprimersi in modo chiaro e sintetico è una conquista.

Dopo tanto silenzio… quant’è importante, in un tuo spettacolo, la parola?
Visto che di fatto sarai in scena non con uno ma con ben due monologhi al Teatro Fontana.

La parola è tutto.
Non a caso nella quasi totalità delle grandi religioni, e nei miti prima di esse, la parola è sempre in relazione con la creazione. Così come sono in stretta relazione nome ed essenza di qualcosa.
Provo a spiegarmi.
A teatro spesso diciamo che la parola crea o che la parola significa, io penso che dare un nome alle cose non vuol dire crearle, in fondo c’erano anche prima, ma vuol dire dare loro un senso, renderle a noi più vicine, comunicarle, quindi farle vivere in mezzo a noi. E come tutto ciò che vive, avrà una relazione un po’ diversa con ognuno, personale e intima.

Farsi silenzio va in scena da diversi anni.

Ho letto che non vuole essere uno spettacolo in più, ma uno spettacolo in meno. Nel senso che è un’opera non finita o in continuo cambiamento?

Quelle sono parole rubate, così come è dichiarato. Mi avevano molto colpito quando le ho lette e ho pensato che ben si adattassero al tentativo di creare un’opera che non è mai uguale a se stessa, che cambia continuamento a seconda delle persone che incontra.
Io e il maestro
Marco Mantovani ci prendiamo questo rischio ogni volta, adattarla non solo al luogo in cui ci troviamo, ma ai compagni di viaggio che incontriamo, così come è accaduto nel viaggio a piedi da Torino a Roma da cui è partito tutto.
Anche il concetto di non finito mi affascina, provare a non chiudere l’opera in una forma sempre uguale. Ha a che fare con l’eternità, non so, insomma mi sono arrogato il diritto di fare un’opera incompiuta senza per forza morire prima…

(come faccio a scrivere che sto ridendo da solo come uno scemo mentre lo scrivo?)

Ma in questo spettacolo sei più un attore o un compagno di viaggio?

Mi piace essere un compagno, accompagnare e condividere con chi partecipa, provando a togliere tutti gli stilemi teatrali che spesso allontanano lo spettatore, lo rendono passivo fruitore. Ma mi piace anche essere un attore, usare le mie capacità e competenze acquisite per affascinarlo e condurlo. Quindi una continua contraddizione, aiuto!

Farsi silenzio è uno spettacolo destinato a pochi spettatori per volta dotati di cuffie (ecco perché intimo), lo spettacolo vuole essere un tentativo di lasciare che il suono suggerisca le parole, per scrostarle e riportare alla luce il loro vero significato. A fine serata tornerò a casa più leggero oppure con la consapevolezza che non sono poi così solo?

Questo me lo devi dire tu.
Quindi aspetto la tua risposta, in forma scritta, dopo che sarai venuto al Teatro Fontana il 28 o il 29 ottobre. O entrambi.

Accetto la proposta/invito (io giro la proposta/invito a tutti i lettori di MilanoTeatri).
Invece Marco cosa si porta a casa?

Questo è un lavoro a cui sono affezionatissimo e che mi riempie di gioia sempre. In tutte le sue fasi è stato una boccata di ossigeno. Fin dal cammino solitario e dai tanti incontri fatti sulla strada, persone con le quali è rimasto un legame. Nel momento della “composizione”, un confronto così naturale vivo ed entusiasmante, per il quale devo ringraziare Marco Mantovani, che si occupa di tutto ciò che è suono, e Tindaro Granata, che ha preso le mie parole e le registrazioni per scrivere con sincerità e passione, come sa essere lui sincero e appassionato.
E ogni volta che incontriamo le persone che decidono di partecipare a questo semplice rito.
A proposito di incontri, permettimi di dedicare questo lavoro ad
Antonio Tarantino, la prima persona che ho incontrato a Torino appena partito. Il viaggio, come sentirà chi verrà, nasce da una sua bellissima definizione di sacro. Sarò molto emozionato nel ricordarlo, perché sarà la prima volta che torneremo a sentire le parole che ci ha regalato questo grandissimo autore, purtroppo scomparso ad aprile, solo, un po’ come aveva vissuto.

Marco io continuerei ad oltranza, si potrebbe parlare all’infinito.
Facciamo che ci diamo appuntamento per un tuo prossimo lavoro, per intanto ricordiamo a tutti che i Teatri sono sicuri e rispettano le regole. Al Teatro Fontana il distanziamento fisico tra gli spettatori è assicurato.

Sto in questi giorni “adattando” entrambi i lavori, proprio per questioni di sicurezza. Ma lo sto facendo come stimolo per cercare ancora, per trovare soluzioni che parlino a quest’oggi diverso da qualche mese fa, che non si limitino a una forma emergenziale, ma che anzi se ne facciano carico e forza. Quindi da quel punto di vista possono stare tutti più che tranquilli. E parteciperanno a qualcosa che si rinnova.

Cambiare abitudini è difficile e la situazione che stiamo vivendo oggi lo ha dimostrato, ma partecipare a qualcosa che si rinnova, solo a teatro può capitare, perché ogni sera è una sera a sé ed è questa la magia dello spettacolo dal vivo.

Andiamo a Teatro, andiamo Teatro Fontana di Milano.

Grazie Marco!

Be the first to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*