“Il canto di Penelope”: Intervista a Michela Embrìaco

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Foto Pierluigi Cattani Faggion

Nell’ambito della rassegna DonneTeatroDiritti va in scena presso il PACTA SALONE di Milano lo spettacolo Il canto di Penelope, ispirato a The Penelopiad di Margaret Atwood.

Il monologoprosegue il percorso artistico della compagnia trentina MULTIVERSOteatro, fondata nel 2009 da Michela Embrìaco, che affronta temi legati al ruolo delle donnee agli stereotipi che le riguardano nella società contemporanea e nella storia.

Come sempre prima di parlare dello spettacolo Il canto di Penelope, ho chiesto a Michela Embrìacodi presentarci MULTIVERSOteatro?

È una realtà teatrale che si occupa prevalentemente di teatro al femminile e quindi di indagare un po’ il mondo delle donne nella storia e nella contemporaneità. Ci occupiamo anche di formazione e di teatroterapia, lavoriamo in diversi contesti, sia con le persone con disabilità sia con gli anziani, ma anche semplicemente con persone che vogliano fare un lavoro su di sé e concentrare l’attenzione sulla propria crescita personale. Siamo convinti che il teatro possa essere uno straordinario strumento attraverso cui far incontrare le persone in modo diverso dal solito.

Per chi non avesse letto il libro, edito da Rizzoli, Il canto di Penelope di Margaret Atwood cosa vedremo in scena?

Vedremo la nostra cara Penelope, che, finalmente, dall’Ade ci racconta la sua storia.

Conosciamo la storia di Ulisse, nelle sue pieghe più profonde, ma il punto di vista, nell’Odissea, di Penelope purtroppo ci manca. Se Penelope infatti dovesse lasciarci un lascito, esso sarebbe:

«Non seguite il mio esempio»

È una testimonianza importante, perché la nostra Penelope seppure sia una donna che viene dal passato, è una donna che ha attraversato i secoli e che parla alle donne e agli uomini del nostro tempo. È una donna in carne e ossa e non uno stereotipo. Sappiamo che è stata l’emblema del femminile per tanto tempo, ma qui si riveste di emozioni, attraverso un linguaggio anche ironico, intelligente e profondo.

Quant’è importante l’uso della parola in uno spettacolo come Il canto di Penelope, visto l’uso di video e fotografie?

È fondamentale, assolutamente importante. Potremmo definirlo quasi un teatro di narrazione. La parola ha cuore in questo lavoro, e non a caso siamo partiti da un testo che, pur essendo un testo di prosa, lo è in un modo particolare, perché parte da un monologo. Questo senz’altro aiuta nella sua riduzione per il teatro. Io non ho assolutamente trasformato la scrittura di Margaret Atwood, ne ho solo costruito una riduzione. Ho estratto le parti secondo me più significative e adattabili a uno spettacolo teatrale, ma era già composto in questi due aspetti importanti, che sono la figura di Penelope, dunque il monologo, e questi personaggi, le dodici ancelle, che invece si esprimono attraverso una parola poetica, molto forte e particolare. Quindi c’è questo contrasto interessante. Sicuramente anche il video fa parte di questa narrazione, integrandola e aprendo una dimensione sul coro di ancelle.

Tante le incongruenze raccontate nell’Odissea. Una su tutte che fa più male ascoltare?

Ce ne sono tantissime, sì.

Penelope, pur essendo una donna intelligente, viene descritta come una donna in balìa degli eventi. Sembra sempre che sia qualcun altro a costruire la trama per lei, anche quando indice la gara dell’arco per vedere chi è in grado di tenderlo. Sappiamo che solo Ulisse è in grado farlo. Secondo la ricostruzione della Atwood, però, è lei che, quando vede Ulisse tornare vestito da mendicante, lo riconosce e decide di indire questa gara dell’arco proprio perché sa che solo lui è in grado di tenderlo. Ci sono questo e tanti altri piccoli aspetti della sua storia in cui è lei a essere un po’ l’“artefice” della narrazione, che non voglio svelare, e che rendono giustizia alla sua intelligenza. Anche se di lei si scrive che fosse una donna intelligente e scaltra, lo è stata sempre in funzione del suo ruolo di moglie. In fondo non si può stravolgere troppo il personaggio, e anche nella stessa ricostruzione della Atwood Penelope rimane un po’ invischiata, seppure più consapevole, tant’è che invita a non seguire il suo esempio. Accanto a lei c’è la storia delle ancelle, per la cui morte si sente profondamente colpevole perché non è stata capace di difenderle. Secondo la Atwood era lei a chiedere alle ancelle di comportarsi in un certo modo con i Proci, cioè di far finta di essere innamorate di loro, ma poi non riesce ad avvisare a Ulisse di aver richiesto questo alle ancelle. Resta il suo cruccio. Ed è il cruccio attorno al quale ruota tutto il lavoro della Atwood. Questi fantasmi delle ancelle ritornano in tutta la narrazione.

Anche Penelope è stata infedele?

In effetti sembrerebbe che abbia avuto un sacco di amanti!

[ride]

Secondo la Atwood no. Si difende da questo punto di vista!

Ma un po’ irrealisticamente si capisce che qualche scappatella è capitata…

Chi è oggi Penelope?

Penelope sono tutte quelle donne che non sono riuscite a emanciparsi e a far rispettare il proprio lavoro. Sono tutte le donne che soffrono e ancora vivono la propria identità nella relazione e nel riconoscimento del proprio valore attraverso la relazione stessa.

Quant’è importante andare in scena con uno spettacolo come Il canto si Penelope nell’ambito della rassegna DonneTeatroDiritti?

È molto importante per ciò che Penelope rappresenta. È una figura con cui un sacco di generazioni si sono confrontate. Rimane, nella stratificazione dell’immaginario su questa figura, qualcosa con cui tutte le donne fanno i conti. Magari ciò vale un po’ di meno per le generazioni più giovani, ma Penelope resta un paradigma con cui confrontarsi. Penso allo stereotipo dell’immobilismo, questo aspetto che ha accompagnato le donne per molti secoli, e che corrisponde al fatto che le donne non devono reagire, devono mantenere un certo comportamento, che se si è troppo aggressive o troppo vivaci non va bene, che non bisogna parlare perché altrimenti si è inopportune o fuori luogo. C’è sempre tutta una serie di regole comportali, che hanno avuto più valore per le generazioni passate e che ora, per fortuna, hanno perso mordente sulle nuove generazioni, ma che tuttavia esistono ancora. D’altra parte si fa sempre molto in fretta a fare passi indietro, purtroppo.

Qual è lo stereotipo che maggiormente fa indignare Michela Embrìaco?

C’è un problema rispetto alla definizione di femminile e maschile che è ancora irrisolvibile: quale deve essere il comportamento della donna e quale quello dell’uomo. Ci deve essere per forza un aspetto della donna che prevale, come se la donna non possa avere una sua aggressività, una sua forza, una sua determinazione senza andare per forza a dover tirar fuori qualcosa del maschile, come se non ci fossero nel femminile degli aspetti solitamente attribuiti al maschile.

La visione dello spettacolo Il canto di Penelope è vivamente consigliata ad un pubblico maschile, perché?

In realtà secondo me è consigliato al pubblico maschile e femminile allo stesso modo.

È un po’ come andare a fare i conti con dei fenomeni che operano in noi, ma di cui non siamo consapevoli. E quindi è importantissimo specchiarsi con certi aspetti della nostra cultura per poterli riconoscere.

A fine serata, cosa ci porteremo a casa grazie a Il canto di Penelope?

Spero un buon lavoro, che in qualche modo ci faccia pensare ed emozionare. Ci faccia aver voglia di tornare a teatro, e anche di riflettere su questi temi.

Ringrazio Michela Embrìaco.

Noi di MilanoTeatri la voglia di andare a Teatro, ad ascoltare storie che ci appartengono, non è mai passata. Per questo motivo vi invitiamo ad andare al Pacta Salone per assistere:

IL CANTO DI PENELOPE

PACTA SALONE | Via Ulisse Dini 17, Milano
dal 16 al 20 marzo 2022
da “Il canto di Penelope” di Margaret Atwood
regia, riduzione drammaturgica, interpretazione Michela Embrìaco

sinossi

Finalmente parla Penelope.

Si trova nell’Ade (il mondo sotterraneo dei morti degli antichi greci) ai giorni nostri, racconta la sua verità, parla di se stessa, di Ulisse, dell’Odissea e del suo essere un paradigma universale della condizione femminile:

Sono diventata una leggenda edificante. Un bastone con cui picchiare altre donne. Non seguite il mio esempio, voglio gridarvi nelle orecchie! Ma quando cerco di gridare, la mia voce è quella di un gufo”.

Parlano anche le dodici ancelle impiccate da Ulisse e dal figlio Telemaco. Le ancelle sono il Coro sullo sfondo, che con le sue domande inquieta Ulisse e Penelope. Che cosa ha portato alla loro impiccagione e che cosa c’era davvero nella mente di Penelope?

Nel video, curato da Pierluigi Cattani Faggion, la danzatrice Elena Finessi interpreta Melanto e il Coro delle ancelle.

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