Daniele Turconi porta in scena Gianluca. Ci vediamo tra le nuvole presso il Teatro Fontana di Milano dal 27 al 29 aprile 2022. Una riflessione profonda sulla propria identità e sull’apparire, sul compromesso e sul rapporto con il contesto sociale, sul bisogno continuo di definizione del sé.
Ma chi è Daniele Turconi?
Nasco come attore, mi sono diplomato nel 2012 alla scuola “Quelli di Grock” a Milano.
Successivamente ho fondato la compagnia FRIGOPRODUZIONI insieme a Francesco Alberici, Claudia Marsicano e Salvatore Aronica cominciando un percorso indipendente che mi ha portato poi a curare anche regia e drammaturgia di lavori personali come MONDO CANE e GIANLUCA – ci vediamo tra le nuvole.
So che è sbagliato identificarsi con il proprio lavoro ma trovo impossibile rispondere alla domanda “chi sei?” in maniera esaustiva; sono mille cose e allo stesso tempo non sono niente.
In parte lo spettacolo parte proprio da questa difficoltà nel definirsi.
Tifo i Miami Heat. Ascolto gli Idles, Gato Tomato e i Morphine. Vengo da Bollate (Milano).
Più di questo al momento non saprei dire.
Invece chi era Gianluca Tosi?
Gianluca era un’artista che non ha conosciuto fortuna durante la sua breve carriera ma non era semplicemente un collega… era un amico.
Abbiamo suonato insieme per anni, abbiamo fatto vacanze insieme, abbiamo condiviso momenti bellissimi e guai con la finanza.
Gianluca è sempre stato un punto di riferimento per le persone intorno a lui, nel suo concepirsi marginale in realtà diventava spesso il centro di molte situazioni, nel bene e nel male.
Lo spettacolo prende spunto dalle sue parole, dalla sua poetica e dal suo modo molto diretto di rapportarsi con le persone.
È stato Gianluca a scegliere Daniele o Daniele a scegliere Gianluca?
Nella vita non ci siamo scelti, è capitato che ci trovassimo in compagnia insieme; il mio migliore amico andava nel suo stesso liceo e me lo presentò nel 2001.
Nello spettacolo invece sono stato io a scegliere Gianluca perché, in qualche modo, la sua figura era perfetta per raccontare il malessere e la crisi di identità che stanno alla base di questo spettacolo.
Cosa vedremo in scena al Teatro Fontana?
Tramite la visione e di alcune sue opere faremo un viaggio ironico e surreale nella vita di Gianluca, un naufragio in un mare di aspettative, compromessi e ricordi dove non possiamo fare altro che lasciarci “trasportare dalle maree dell’esistenza” come diceva lui, sperando di riuscire a stare a galla.
Vedrete più che altro una riflessione sull’essere (o non essere) artisti nei tempi bui che stiamo vivendo.
Dopo aver ascoltato e riflettuto grazie a Gianluca sul tema dell’identità, avremo la consapevolezza che l’arte potrebbe (utilizzo il condizionale) salvarci da noi stessi?
In realtà, neanche l’arte ci può salvare da noi stessi.
Spesso cerchiamo rifugio nell’arte come se potesse salvarci da qualcosa: se arrivo a casa arrabbiato magari dopo una brutta giornata, guardo un film che mi piace o una serie tv che mi fa ridere perché trovo conforto in quel prodotto artistico, lo facciamo tutti ed è giusto così ma, alla fine, è stata solo una distrazione momentanea.
La realtà rimane lì fuori ad aspettarci.
Forse il problema è proprio questo: che l’arte è diventata solo e unicamente una distrazione momentanea, un’evasione, qualcosa che ci consente di ignorare la realtà per qualche momento.
L’arte può essere anche un vizio, ci mancherebbe, ma ho l’impressione che ultimamente sia sempre più impoverita di argomenti e senza punti di vista onesti, senza l’urgenza vera di dover dire qualcosa l’arte non può fare niente, non può lasciare nulla allo spettatore.
Io sono una persona abbastanza riservata, non mi piace chiacchierare e odio discutere con le persone; per me il teatro è sempre stato il modo che utilizzo per comunicare con la gente, faccio uno spettacolo tendenzialmente solo quando sto per esplodere, in questo l’arte mi aiuta a vivere, certo, ma sicuramente non risolve i miei problemi.
Tornando al discorso principale pensare che l’arte debba salvarci, educarci a stare bene o ad essere persone migliori è un grande equivoco.
Ci può aiutare ma non può fare tutto il lavoro… in fin dei conti siamo noi la causa della nostra crisi.
Spesso si sente dire che l’arte e la bellezza salveranno il mondo, tu cosa ne pensi?
Innanzitutto trovo sbagliato mettere l’arte e la bellezza nello stesso ordine:
“In un’opera d’arte che si rispetti, come minimo c’è tutto. Tutto è tutto, vuol dire tutto, quindi anche brutto”
Cantavano i Bluvertigo e io sono assolutamente d’accordo ma, a parte le citazioni, questa frase mi suona sempre come una specie di scarico di responsabilità.
– Le cose vanno male? lasciamo fare all’arte e alla bellezza ci penseranno loro…-
Non credo sia un buon atteggiamento per cambiare le cose che non vanno che, purtroppo, sono tante, soprattutto nel settore artistico.
In più è una frase che si porta dietro un bel po’ di superbia: molti artisti si sentono superiori perché, secondo loro, “stanno contribuendo a rendere il mondo un posto migliore” e questo li autorizza, anche inconsapevolmente magari, a porsi un gradino sopra gli altri come se facessero parte di una missione divina, giusta a prescindere.
Se è vero che l’arte salverà il mondo allora vuol dire, di conseguenza, che gli artisti salveranno il mondo ma non è così, ci stiamo sopravvalutando, non abbiamo tutta questa responsabilità né dovremmo averla.
A volte sogno che chiunque pronunci questa frase sia catapultato, per magia, all’interno di una missione umanitaria in Africa centrale o in una fabbrica di amianto oppure in un campo di pomodori in Puglia. Così, coup de théâtre.
Per adesso facciamo una bella cosa, il 27, 28 e 29 aprile catapultiamoci tutti al Teatro Fontana, di sicuro ci vedremo tra le nuvole grazie a Gianluca.
GIANLUCA.
CI VEDIAMO TRA LE NUVOLE
Teatro Fontana | Via Gian Antonio Boltraffio, 21 – Milano
dal 27 al 29 aprile 2022
regia e drammaturgia Daniele Turconi
collaborazione alla drammaturgia Alice Provenghi
in scena Daniele Turconi
disegno luci e tecnica Daniele Passeri
sinossi
un viaggio nell’universo e nelle opere di Gianluca, artista scomparso prematuramente a poco più di trent’anni. Un pretesto per riflettere sul tema dell’identità e per parlare di tutto quello che non riusciamo ad essere. Un’occasione per perdersi dentro un buco nero di ricordi, aspettative e compromessi, con la consapevolezza che neanche l’arte ci può salvare da noi stessi.
TiTo
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