In scena al Teatro Menotti fino al 4 giugno, “Talkin Guccini”.
Sala grande dell’osteria: in scena sedie di legno con seduta in paglia attorno a tavoli con tovaglie a quadretti. Comò di casa anni 20 del secolo scorso con i coperti e le oliere.
Pensili ricolmi di bottiglie di vino. Tre enormi finestre che danno sui portici bolognesi.
Ogni tanto qualche figura scura le attraversa. Dalla finestra più a destra si vede un orologio stradale dalla forma famigliare che segna le 10:25
Potrebbe essere la “OSTERIA DELLA DAME”. Di sicuro (è l’ostessa a suggerircelo) siamo a Bologna ed è il primo agosto 1980. La città è sull’orlo dell’abisso.
Paletti iperrealistici di tempo e di spazio necessari per trattenere l’esuberanza dei commensali che cominciano a popolare il locale.
Non sono (come il titolo potrebbe far pensare) tutti personaggi delle canzoni di Guccini. La quasi totalità sono frutto di autonoma costruzione artistica delle storie cantate o scritte dal cantautore modenese. Sono i personaggi che nascono in quella porzione di cronaca che non conosciamo che non c’è nelle canzoni perché succede prima o dopo rispetto a ciò che ci viene raccontato. Ne sono la premessa o l’epilogo.
Il nostro anfitrione è l’impetuosa Serafina (Lucia VASINI), malinconica nell’intensa interpretazione di “Amerigo”, esilarante in la “La fiera di San Lazzaro” e nella sfida astornelli consumati con il FRATE.
Serafina ci porta a conoscere i personaggi e l’atmosfera dell’osteria.
L’elegantissima e misurata Matta (Andrea MIRO’) è colei che conserva le memorie comuni di chi ha condiviso molto per anni. L’eco dei fatti e gli oggetti del passato che rispolverati innescano animosità, rimpianti, sofferenze, complicità e risate.
Il rockettaro Vaccadiuncane (Enrico BALLARDINI), passionale alter ego di Francesco GUCCINI, che, armato di chitarra e parola, ne tratteggia le origini artistiche, le perplessità sul mestiere e (non senza ironia) il suo rapporto con le donne.
Il frate (Fabio ZULLI) donnaiolo e ubriacone è il solo personaggio trasposto da una canzone nel locale. Dopo parecchi bicchieri sublimerà questa sua “solitudine” con le parole del “L’ubriaco”.
I due avventori musicisti/cantanti (Juan Carlos “Flaco” BIONDINI e Alessandro NIDI) accompagnano i frequentatori a tirare mattino dando voce e musica ai loro stati d’animo e alle suggestioni che si susseguono un po’ obnubilate dal vino: come la nostalgia con “Amerigo”, un po’ di allegra cialtroneria con “La fiera di San Lazzaro”, la riflessione sul cosa siamo e sul senso di ciò che facciamo con “Gli artisti” e “L’avvelenata”. Non mancano uno sguardo tenero al passato con “Incontro” e uno sguardo tenero al futuro con “Il vecchio e il bambino”
Queste e altre in attesa del tragico epilogo introdotto da un corale “Dio è Morto”.
Una bellissima messa in scena, un intreccio di vicende buffe, intime, rabbiose ed ironiche armonizzate dalla regia puntuale di Emilio RUSSO. Uno spettacolo che sarà apprezzato in egual misura da chi conosce il “Bardo di Piadena” e chi no.
Roberto De Marchi
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