
“La Storia di Qu me la sono proprio mangiata… L’ho imparata quasi a memoria ed è la storia di qualcuno che non è ritenuto nessuno.” Così Dario Fo aveva presentato Storia di Qu nel 2015, in occasione della rappresentazione avvenuta al Piccolo Teatro nello stesso anno.
Nonostante il testo non sia mai stato rappresentato dal Premio Nobel, che lo aveva scritto a quattro mani con la moglie Franca Rame, la sua firma resta un sinonimo di una resa teatrale pura, per cui non ha potuto fare a meno di attirare il pubblico più vario. Anche Qu, il protagonista della sua omonima storia, è un puro. È un personaggio quasi mitologico della Cina settentrionale, reso ancora più celebre dallo scrittore e poeta Lu Xun (1881- 1936), padre della lingua cinese moderna detta semplificata (ebbene sì, quello attuale è il cinese “semplice”).
La storia però di Qu è quella di un tranquillo buffone che vive ai margini della società, che raccatta ciò che trova, in grado, però, di sgretolare il forte e ingiusto potere centrale, senza prenderlo mai sul serio fino alla fine, diventando così un simbolo di lotta e resistenza. La forza di Qu è quella di non aver mai desiderato nulla di tutto questo. Lui ha seguito il percorso che si è trovato casualmente davanti.
Qu viene paragonato sin dall’inizio dello spettacolo, nonché dallo stesso Fo, ad un Arlecchino orientale, rattoppato e affamato: “Noi ci siamo ispirati a quel racconto e lo abbiamo sceneggiato fino a trasformarlo in un testo di teatro all’antica italiana.”
Nello spettacolo andato in scena al Teatro Verdi, diretto da Massimo Navone, in un riadattamento per due attori curato con Michele Bottini, si mantiene la struttura originale della messinscena, arricchendola di pupazzi e di cinquanta immagini disegnate da Dario Fo proiettate sullo sfondo, che passo passo seguono l’avvicendarsi sul palcoscenico.
La scenografia è semplicemente meravigliosa, creata dagli studenti dell’Accademia di Brera, che hanno ricreato l’atmosfera orientale con una delicatezza e una cura estremamente preziosi, rendendo altrettanto prezioso l’intero allestimento. Luca Daddino (Qu) e Veronica Franzosi (Luna), recitano con dolcezza e con meno frenesia rispetto a quella che richiede il confronto “arlecchiniano”, ma riescono ad arrivare al cuore degli spettatori, che ben si adattano ad un ritmo più quieto.
La scena sicuramente più accattivante è quella del processo, quando Qu viene dichiarato colpevole, nonostante gli venga riconosciuta l’innocenza. Il motivo? Una testa deve cadere per far sì che qualcosa cambi tra il popolo, che fa di Qu un eroe e un nuovo simbolo della lotta contro lo smisurato potere del governatore e della sua perfida consorte.
Un plauso particolare deve essere fatto alle musiche, interamente eseguite dal vivo sul palco da Roberto Dibitonto, talentuoso polistrumentista che non ha mancato di dominare la scena in più di un’occasione.
Ritornando ad un concetto già espresso, nonostante sul palco non ci fosse Dario Fo, se ne percepiva comunque la presenza, che si nascondeva dietro le quinte, per il candore e la purezza che emana Storia di Qu. Una storia mitologica, ma vera. In fondo è proprio a questo che servono i miti: a spiegare la realtà portandola all’estremo. In questo caso, forse, l’estremo è la caduta di una sola testa.
Marta Zannoner
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