
Zeno Cosini, rivive. In un dualismo continuo e tambureggiante tra il se’ giovane ed il se’ vecchio. Ma, come nella metafisica cinese, Nello Yin (nero) c’è sempre un po’ di Yang (bianco). In Zeno ragazzo, incarnato da Francesco Godina, c’è, già tracciata, un’eco dell’anziano che sara’. Come, nel Zeno senior, reso con patos da Alessandro Haber, s’intravvede il furore del Zeno imberbe che fu. Due Zeno, o uno solo, che non riesce ad essere pienamente adulto, perché immerso nel giovanotto di mille speranze e che non sa accogliere, in toto, l’ultima fase della sua turbolenta esistenza, perché, forse, non è riuscito mai a lasciare, definitivamente, il puer che fu in lui. Benvenuti nella doppia, ma a ben guardare unica, febbre. Di vita, di avventure, di donne, di carriera, di senso. Di Zeno Cosini.
Uscito dalla penna di Italo Svevo, e ricreato sul palco del Carcano dal 29 ottobre al 3 novembre scorsi, per l’adattamento di Monica Codena e Paolo Valerio, che ne è anche il regista. Scene e costumi sono di Maria Crisolini Malatesta, alle luci Gigi Saccomandi. Musiche firmate da Oragravity. Il video è di Alessandro Papa, mentre i movimenti di scena, sono, ancora, di Monica Codena. Nelle altre parti, Alberto Fasoli, Valentina Violo, Ester Galazzi, Stefano Scandaletti, Emanuele Fortunati, Meredith Airò Farulla, Caterina Benevoli, Chiara Pellegrin, Giovanni Schiavo.
Una macchina scenica, che giocando con massima abilità con uno specchio tondo in continuo movimento dove, le immagini dei personaggi, vengono colte in stridenti ma lapidari primi piani, con uno sfondo grigiastro e nero a far da colonna cromatica della vicenda, fa vivere, toccare con mano e guardare più da vicino, la potenza interiore, che nel romanzo, abbiamo leggiucchiato al liceo, non cogliendola appieno perché, già presi, a dar forma a mappe concettuali per la fatidica tesina di maturità.
Il romanzo di Svevo, lungimirante, uscito per l’editore Cappelli di Bologna nel 1923, cent’anni compiuti da un anno, fu una delle prime sfide culturali, che tentò di andare al di là delle colonne d’Ercole e di portare, in pagine e libro, tutto quel misterioso e plurimo microcosmo che si vive in uno studio di psicanalisi (nata di fatto come pratica medica solo alcuni anni prima) tra paziente e dottore, di provare a cristallizzarlo, a toglierlo dall’oralità, sempre un po’ dimentica. Questa rivoluzionaria forza psicologica, qui, non solo la trasmette ma anche la mendica ed alla fine trova spazio, tra gli spettatori, coinvolti ma non annoiati, accattivati ma non incattiviti da una scena plastica, invadente ma non ingombrante, dove lo sciabordio del mare di Trieste, anch’esso riprodotto fedelmente, sonoramente e visivamente, accompagna ed avverte tutta la masnada che in fondo, l’anima, fluttua e scorre, come fa quell’acqua. Panta rei eracliteo, velato, ma non troppo.
Mattatore assoluto, se fossimo in ambito calcistico, hombre del partido, uomo della partita, senza ombra di dubbio, lui: Alessandro Haber, capace, capacissimo, a ricreare i dubbi delle ombre e le ombre dei dubbi di Zeno. Le sua A femminili: Ada, Augusta, Alberta, Anna. Donne dove cercava, senza poi mai riuscirci, di essere sé stesso, di sublimare anche quella perdita tumultuosa del padre, morto dopo che aveva rifilato a Zeno un manrovescio, nel tentativo di rifiutare le sue cure figliali.
L’esperto attore bolognese, sfrutta, cifra degli eroi, la sua pronunciata zoppia, causatagli da un’operazione all’anca, per conferire ancor più verve patica ed empatica alla storia. Per dire che in effetti, i passi di Zeno, sono sempre stati concitati e manchevoli di qualcosa, mancanti di qualcuno, pur in mezzo a tante conoscenze sociali, civili, lavorative, che si accorgesse, della sua fatica fisica ed esistenziale e provasse, anche solo per vedere il mare di notte, a prenderlo in braccio. Ancora, un ultima sigaretta, ma mai davvero una prima carezza.
Luca Savarese
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