Recensione: “Il condominio”

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Nella piccola ma affascinante sala Cavallerizza del Teatro Litta è in programma Il condominio di e con Cinzia Spanò.

Subito la scena si presenta pura e semplice: un solo telo da proiezione e un microfono su asta sostengono un’attrice in neutro, che con le sue parole si rivolge direttamente al pubblico secondo le regole della stand-up comedy in un crescendo di risate e sconvolgimenti.

Il condominio si presenta come un’indagine sociale di un microcosmo, negativo di una fotografia più ampia della nostra contemporaneità.

Forte del proprio ruolo di spettatore il pubblico ride e si meraviglia per atteggiamenti e situazioni di cui Spanò svela il paradosso, ma tristemente all’ordine del giorno nella nostra realtà.

La chat condominiale si rivela essere uno strumento perverso in cui riversare odio, frustrazioni e nevrosi di una società che, chiusa nelle quattro mura di casa durante una dolorosa pandemia, non è capace di mettere l’umanità al centro, che vive di opposti, bipolarismi, contrasti, paragoni. Il gruppo assale e devasta come un branco, e senza un pensiero profondo provoca, indica, giudica e sentenzia in un delirio crescente.

Ci si sente autorizzati a ridere di queste situazioni, a demonizzarle, a prenderne distanza, perché presentate e protette dalla potente arte del teatro, increduli e dubbiosi che sia tutto reale.

“Purtroppo” in scena non si assiste a un raro evento, a un racconto paradossale di una storia vera, ma alla triste quotidianità, a comportamenti comuni, conosciuti e ripetuti, presentati da Cinzia Spanò attraverso la forza del sorriso e dell’ironia. L’indignazione per la raccolta differenziata conferita male, lo sporco sui pianerottoli, i rumori molesti dei vicini sono all’ordine del giorno, come risulta prioritario e urgente scoprire chi è l’autore di atti così incivili.

Nel vortice della caccia all’uomo, in un crescendo di timori, sospetti e diffidenze per qualsiasi piccolo evento che sconvolga la dignità di una piccola fetta di società, a volte ci si concede il tempo della solitudine: quel tempo in cui ci si abbandona al pensiero, dai minuti dilatati, in cui forse le notifiche del cellulare ritornano ad avere il loro valore di chiacchiericcio vuoto e sterile, anche se finemente e subdolamente attrattivo.

È in questi momenti, senza fretta e di osservazione, che forse è possibile aprire lo spazio a uno sguardo nuovo, genuino, scevro da paure, nevrastenie, ipocrisie. E proprio in questi squarci di presente ci si concede l’opportunità di farci guidare dall’incontro unico di persone che ci riportano con il loro essere al vero senso dell’umano, dell’accoglienza, della Vita.

Vera Di Marco

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