Recensione: “Human”

human

Quando l’ufficiale dell’immigrazione chiese ad Einstein di quale RAZZA fosse, lui rispose: UMANA

Non una ma tante storie d’immigrazione.
Non uno ma tanti punti di vista sull’immigrazione.
Non un’epoca ma diverse epoche che vivono l’immigrazione.

Questo è Human di Marco Balliani e Lella Costa visto al teatro Carcano di Milano.

I due artisti si incontrano sul palcoscenico per raccontarci Storie senza tempo e senza spazio.
Balliani e Costa , infatti, con l’aiuto di David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis e Luigi Pusceddu, ci narrano le vicende di immigrazione ai giorni nostri ma non solo , in Italia e non solo.

Tutto ha inizio con il racconto del mito di Ero e Leandro, amanti che vivono sulle sponde opposte dello stesso fiume e che sono disposti a morire pur di conquistare la felicità.
Da questo punto di partenza si snoda poi tutta la piece che si sviluppa nel racconto di tante e diversissime storie d’immigrazione. Troviamo quindi la famiglia di Torino che, dopo giorni di nave e quarantena, può finalmente godersi la vita in America, ma troviamo anche la simpatica signora veneta che non capisce per quale motivo ci si debba fare noi Italiani carico di tutti questi immigrati che si rivelano essere dei delinquenti e a cui noi diamo dei soldi, salvo poi capire, grazie ad un’amica, che forse la situazione non è esattamente questa.
Ci raccontano storie di madri costrette ad abbandonare i loro figli e di un gruppo di marinai da pescherecci che, avvistato un barcone carico di persone, discute su quale sia la cosa migliore da fare per salvare la vita di tutti, compresa la loro.

Insomma un excursus di vicende che fanno riflettere, a volte in maniera forse un po’ troppo semplicistica (anche se voluta), su quello che è il senso della migrazione in ogni sua forma spazio-temporale.

I due protagonisti ci invitano anche ad analizzare la parola “umano”, in qualità di aggettivo usato, prevalentemente, per descrivere una persona particolarmente gentile e disponibile, come, però, se fosse una cosa strana, poco comune, quando invece dovrebbe essere insito nell’animo umano la caratteristica dell’umanità.
Gli esseri umani sono tali quando imparano la vita guardandosi e cercando di non commettere sempre gli stessi errori.

Da questo pensiero nasce l’idea di barrare la parola Human, per indicare in essa l’umano ma, al tempo stesso, il disumano che esiste nella nostra società. La barra traccia la parola a metà, la nega, la interroga.

Un plauso speciale va fatto ad Antonio Marras per le scenografie e a Loic Francois Hamelin e Tommaso Contu per le luci. Tutta la scena è costruita con abiti delle tonalità del rosso e del nero che creano un ambiente molto particolare e, a volte, diventano i veri protagonisti della piece, il tutto arricchito da luci quasi sempre di taglio che favoriscono quell’atmosfera tipica di una situazione di disagio

Spicca il fondale, costruito interamente con abiti incartapecoriti che, a seconda di come viene illuminato e usato, sembra barca o sembra grotta, restituendo allo spettatore tutto lo studio sui diversi punti di vista sull’immigrazione voluto dal regista Balliani.

Perché si mettono in viaggio sapendo in partenza che forse moriranno?
Per quel FORSE

Francesca Tall

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