Recensione: “Fuga da via Pigafetta”

La cinematografia ha, a grandi linee, spostato il focus della fantascienza dai contenuti agli effetti speciali, dalle ipotesi sul futuro alla computergrafica.
Questo presupposto rende quasi impossibile concepire una narrazione sci-fi su un palcoscenico teatrale.
Ma si sa che non è così. Rispondendo ad una norma non scritta quando a teatro lo spettatore posa lo sguardo sulla scena scorgendo una panchina e un albero di cartone vede un parco, una silhouette con delle vele su uno sfondo azzurro diventano un mare con un veliero.

Esattamente come nel monolocale di via Pigafetta (comparso sul palcoscenico del COOPERATIVA) dove una futuribile porta d’ingresso, un tavolo di lavoro, una poltrona e un mobile di cucina ricoperti in ogni parte di dispositivi elettronici ci portano senza indugio all’anno 2080.

Un ambiente vagamente cyberpunk regolato e gestito da AL: la componente domotica dell’appartamento. AL non HAL di Kubrickiana memoria; “AL” sta per Alberto ed Alberto è ormai uno dei pochi a non avere, in questa ipotesi di futuro, il nome “sponsorizzato”.

Al padrone di casa è stato, invece, imposto il nome di  “Nestlé Monsanto Mitsubishi”. Nestlé per gli amici
Nestlé (Paolo HENDEL) è un biologo ritirato a vita privata che vive in un modo e in un mondo che non gli appartengono ma sui quali si adagia anche se solo per pigrizia e disincanto.
Poche ed episodiche frequentazioni. Tra queste la figlia Carlotta (Matilde PIETRANGELO) e l’amico “Gran Biscotto Rovagnati” che in scena viene, però, solo evocato.

Nestlé non lavora più e passa le sue giornate a conversare, discutere e litigare con AL.
Coltiva una piccola serra domestica dove, nell’ipotesi di futuri reimpianti, stanno crescendo organi artificiali. Un posto particolare nel cuore di Nestlé (quello nel petto; l’altro sta maturando nel secondo ripiano della serra) ce l’ha un piccolo pene piantato in un vaso insieme a dei vegetali e per il quale lo stravagante agri-biologo ipotizza un grande anche se indistinto futuro.

Il mondo fuori, quello reale,  non è certo facile e il piccolo monolocale diventa la trappola perfetta per l’ipocondriaco-ambientale Nestlé. Gli alimenti sono contaminati se non, addirittura, pericolosi e nocivi. L’aria è irrespirabile.
Il mondo virtuale invece è in mano a complottisti e leoni da tastiera che sostengono tesi stravaganti relazionando la “lobby dei mappamondi” e la sfericità della terra, che diffonde notizie menzognere per tornaconti politici e personali. Una situazione decisamente compromessa. D’altronde se la tragedia è destinata a ripresentarsi nella storia come farsa partendo da un 2018 ridicolo cosa ci si può attendere dopo 62 anni?

Qualcosa di nuovo però è successo: nel 2080 Marte è stato TERRAFORMATO e se ne sta preparando la colonizzazione.
Il pianeta rosso diventa quindi il traguardo auspicato di molti giovani precari che vogliono cominciare lì una nuova vita. Tra questi c’è anche Carlotta la figlia di Nestlé.
E’ in questo territorio che gli autori (Dix e Vicari) danno corpo ai temi della narrazione.
Temi senza tempo: l’alienazione dell’uomo dalla sua contemporaneità, l’inutilità dell’intelligenza di fronte alla stupidità diffusa. Ma c’è anche un po’ di ottimismo, un briciolo di speranza, la riscoperta di valori e l’amore filiale.
Il tutto con una chiusa dalla morale inaspettata: non trasmettete i vostri sogni ai vostri figli, loro potrebbero volerli realizzare.

Uno spettacolo piacevole con risate intelligenti. Nulla di scontato su un percorso conosciuto, un buon ritmo malgrado qualche piccola debolezza nell’attacco dei dialoghi tra padre e figlia.
Un testo che omaggia i grandi della fantascienza internazionali (BRADBURY e Philip K. DICK) e i rari interventi italiani nella Fanta-sociologia (Alberto SORDI e Michele SERRA ), in cui si riesce a ridere di un presente certamente non divertente e di un futuro più grottesco che tragico.
Consigliatissimo.

Visto al Teatro della Cooperativa il 19 gennaio 2018.

Roberto De Marchi