Recensione: “Birdie”

birdie
© Pasqual Gorriz5 web

I MILLE SIGNIFICATI DI UN BIRDIE

Il Birdie, nel golf, è un risultato di -1 rispetto al par. Traduzione per chi non segue questo sport: se per una determinata buca è prevista una realizzazione in 4 colpi (par) ma il giocatore riesce a concludere in 3 soli colpi, ha realizzato un Birdie. Ma c’è anche un altro significato, per questo termine. Birdie è infatti la traduzione inglese di “uccellino”.

A Melilla, città autonoma spagnola in territorio marocchino, convivono i due possibili significati di questa parola. Un bellissimo campo da golf è infatti la rampa di lancio per milioni di piccoli uccelli migratori. Che bella città, Melilla! Una piccola zona d’Europa in piena Africa. Molto verde, molta prosperità, molto benessere, molta tolleranza e convivenza felice tra tante diverse culture, tante diverse lingue, tante diverse religioni.

Peccato che Melilla sia recintata. Un immenso muro circonda infatti, per intero, i suoi confini, con l’obiettivo di ostacolare l’afflusso dei migranti che, entrando a Melilla, avrebbero poi libero accesso all’Europa. E dunque, questi Birdie umani non possono fare altro che rimanere appollaiati in cima a quel muro, sotto la stretta vigilanza della polizia, a osservare i giocatori di golf intenti a far rotolare palline da una buca all’altra, mentre tutto intorno gli uccelli proseguono il loro viaggio.

Una foto miracolosa ferma il tempo e restituisce, in unico scatto, questi universi agli antipodi. La società del benessere e dei campi da golf, la sua tolleranza (rivolta solo a chi è già all’interno del recinto) e quella delle guerre, delle carestie, della fame, dei muri da scavalcare per cercare di dare un senso alla parola “futuro”.

Questa fotografia è alla base del meraviglioso Birdie, spettacolo che la compagnia catalana Agrupaciòn Senor Serrano ha recentemente presentato in Triennale – Teatro dell’Arte.

Nessuna parola, in scena, se non quelle provenienti dai numerosi contributi video. I tre attori – performer si muovono sulla scena ricreando, grazie ad un sofisticatissimo apparato tecnologico, Melilla e le sue contraddizioni, che poi sono le stesse di tutto il mondo occidentale. Ecco quindi che la foto proiettata viene modificata in diretta, inserendo nuovi elementi grazie ad un uso sbalorditivo delle riprese dal vivo (fatte in quel momento, in diretta, non preregistrate). Ecco quindi che migliaia di miniature (non è un’iperbole, sono davvero duemila) vengono sparse sul palco ricreando l’evoluzione dell’uomo, dai dinosauri fino all’autocisterna della Shell, e il suo eterno flusso migratorio, il suo eterno cammino. Ecco che tutte queste miniature finiscono all’interno di una vasca piena d’acqua, con tanto di ripresa subacquea in diretta, ricreando metaforicamente i tragici viaggi della disperazione, oppure cadono in un buco, alludendo al tritacarne umano di Another brick in the wall dei Pink Floyd, oppure più semplicemente finiscono la loro corsa contro il muro di Melilla, anch’esso ricreato in miniatura. Il tutto mentre tre ventilatori giganti puntati sul pubblico restituiscono la sensazione d’aria e di libertà degli uccelli in volo.

Questi sono solo alcuni degli elementi chiave di questo spettacolo, sul quale si potrebbe tranquillamente scrivere un intero trattato. Uno spettacolo a strati, basato su molti possibili livelli di lettura, tutti straordinariamente efficaci. Ci si può accontentare del livello dell’intrattenimento, godendo della meraviglia creata grazie all’utilizzo sopraffino dell’elemento tecnologico, rimanendo incantati come bambini al circo. Si può sostare al livello dei contenuti, approfonditi e mai banali, riflettendo sulle nostre contraddizioni e sulle nostre assurde paure (magistrale, in questa direzione, il contributo video in cui Alfred Hitchcock spiega il reale significato del suo capolavoro, Gli uccelli, appunto). Si può scavare dentro il livello metaforico per andare a scoprire quanto il mondo in cui viviamo sia, in fondo, un mondo irreale, dominato sia dal terrore circolare generato dall’assuefazione ad un mondo dell’informazione banalizzante e coercitivo sia dalla dipendenza generata dal nostro senso di comodità e di semplificazione. Ipocriti e statici, noi, come i giocatori di golf all’interno del muro di Melilla. Uomini liberi all’interno di una gabbia che, da soli, ci siamo creati.

Melilla non è come appare. Nulla, nel nostro mondo, è come appare. E tutto diventa “apparente” anche sul palco, filtrato sì dall’occhio subdolo della telecamera ma filtrato anche dai nostri stessi occhi, anch’essi comodi, ipocriti e statici tanto da non accorgersi che su quel palco c’è sempre stato un attore in più, vestito come uno dei disperati appollaiati sul muro di Melilla e da noi bollato come “manichino” all’inizio della rappresentazione e di conseguenza mai più rientrato nelle nostre considerazioni visive, fino a quando, in un sorprendente finale, dopo un’ora di totale immobilità, quel “manichino” si alza e ci guarda, costringendoci a riconsiderare, una volta di più, tutto ciò a cui abbiamo assistito.

Difficilmente questo spettacolo tornerà a Milano in tempi brevi. Ma se dovesse capitarvi di incrociare il lavoro di questa compagnia, in Italia o all’estero, non perdete per nulla al mondo la possibilità di applaudire un gruppo che sta riscrivendo le regole del teatro contemporaneo.

Massimiliano Coralli

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