Recensione: “Back to Momix”

momix

Vecchie sinergie e audaci novità

Nuovo blitz Momix, che si mette in spalla il suo pubblico

Febbraio 1980. Fa freddo e tira vento a Lake Placid, teatro della tredicesima edizioni dei Giochi Olimpici Invernali. Ma ad un certo punto, un  fremito caldo percosse le schiene dei padroni di casa. “Undici secondi, vi restano dieci secondi, stanno contando alla rovescia in questo momento… Morrow passa a Silk, restano cinque secondi di gioco! Credete nei miracoli? Sì!” E’ la voce di Michaels, che sta portando nelle case degli americani, non esistevano ancora i live e le dirette testuali di oggi su internet, quello che sta accadendo nella sfida di Hockey su ghiaccio tra gli Usa e la Russia. Siamo in piena Guerra Fredda e gli Stati Uniti, formati per lo più da ragazzi universitari e dilettanti, riescono nell’impresa di battere il colosso sovietico, capace di ottenere sei medaglie d’oro nei sette precedenti confronti Olimpici. Quella rassegna invernale, divenne improvvisamente soleggiata come un’estate inattesa, per il popolo a Stelle e Strisce. In quella spedizione casalinga, non fu però l’unico momento di gloria  campanilistica.

Nel rooster di atleti, invitati e maestranze al seguito, c’è anche Moses Pendleton, classe 1949, oggi, fresco settantacinquenne. È nativo del Vermont, monti, ed allevamenti. Cresce tra mucche da allevare e latte da mungere. Oltre a questa dimensione pastorale, ama lo sci, specialita’ fondo. Vince il campionato nel 1967. È un eclettico, alla Leon Battista Alberti, non sta fermo un secondo. Si laurea, in letteratura britannica e già che c’è, fonda, con Wolken, il Pilobolus Theatre. Lo chiama Broadway, lo vogliono a Berlino. Gli affidano, soprattutto, la cerimonia di chiusura delle sopracitate olimpiadi. È qui che Pendleton fa esordire la sua creatura più elevata, Momix. Un uomo solo, vestito di bianco con occhiali neri ed un bastoncino tra le mani. Momix, letteralmente, mangime per bovini. Lui, è coreografo e fotografo, Momix fa presto a diventare la quintessenza della danza ma nel corso tempo, quasi con la potenza nietzschiana, va al di la’ della danza stessa. Come se ci fosse una danza prima di Momix ed una danza dopo questo figlio, artistico di Pendleton, evocativa, allegorica, immanente e trascendente, nel medesimo istante e nel medesimo balletto.


Momix ritorna di gran carriera a Milano, al teatro lirico Giorgio Gaber, con Back to Momix. Da martedì 7 maggio, ieri, teatro pieno, a domenica 26 maggio. Due atti, un primo ed un secondo tempo per far rivivere, in pienezza, tutta la loro partita ed i pezzi, forti, della pluridecorata compagnia. Tornano ad esibirsi,ma con nessuna formula ripetitiva rispetto agli spettacoli in archivio. Si perché Momix è qualcosa di sempre e nuovamente nuovo, di ancora non detto fino in fondo, dove i numeri e le performances altro non sono che suggestioni ed inviti ad accedere a quel giardino ideale dove l’elemento urbano, come ha ribadito più volte il fondatore, conta, fino ad un certo punto.


Si percepisce vivamente il gioco di parole con il quale,  nel novembre scorso, Pendleton spiegò l’upgrade di questo nuovo show. “Older and bolder”, “Piu’vecchio e più audace. Riecco infatti MomixClassics,  C’è ancora tanta botanica, Bothanica and Alchemy, da sempre amica della macchina scenica Momix ma compare anche il Vivaldi delle Quattro Stagioni. E poi ci sono delicate metamorfosi, come quella di un uomo in una roccia (forse un monito al troppo potere tecnocratico?) ed una fauna variopinta, che bussa delicatamente agli spettatori, mendicante ascolto e significati: api, pipistrelli, cani surreali e ululati di lupi. Poi, SunFlower Moon, Opus Cactus. Tre banditi a cavallo in un anonimo West. Brani superbi ed ieratici, ascoltare Safe From Harm dei Massive Attack, per credere.


La sintesia totale, cifra Momix, sfere sensoriali diverse che s’intrecciano, pistilli arancioni che si fanno sonori fiori bianchi, non viene, da questa riproposizione, snaturata ma è semmai rinnovata e garantita, con più ampiezza, grazie alle intuizioni di Pendleton, alla collaborazione di sua moglie Cynthia Quinn ed al suo sontuoso staff, dove 8 ballerini illusionisti rubano gli occhi e fermano il tempo. L’orizzontale, qui, non è una dimensione nemica del verticale, ma anzi, in questa laica preghiera senza altari e senza religioni, l’orizzontale, prende sottobraccio il verticale, che volentieri, si lascia maneggiare. Un po’ come gli occhi degli spettatori che guardano e viaggiano in questo vortice di suoni, rimandi, colori, ispirazioni e un po’ come Momix stesso, che si riporta il suo pubblico sulle spalle, come fanno i papà con i bimbi, dentro un’altra avventura dove alla fine noi, vediamo. Un po’ piu’in alto. Galeotta fu dunque quella cerimonia di chiusura dei Giochi Olimlici del 1980. Allora, Momix, chiuse una manifestazione ed apri’ un’era, che torna ad essere un’ora e passa, 95 minuti, di proposte e coloratissime bombe coreografiche. “Fermati, attimo, sei bello!” diceva Goethe, nel Faust. Fermati, Momix, sei, ancora, bellissimo. Diciamo noi vedendo l’ultima trovata del dottor Faust di uno show leggero e leggiadro, Moses Pendleton.

Luca Savarese


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