“Quando tutto finirà, ci sarà sempre la voce della radio accesa a spiegarci quello che accade“
Francesco Repice, voce mattatrice del pallone, sarà, come già avvenuto lo scorso inverno nella sua Cosenza al Rendano, con uno spettacolo sui rimpianti calciatori Marulla e Bergamini, mattatore a teatro. Questa volta, però titolari del suo show, sara’ la voce di quegli eroi che proprio con la loro timbrica e la loro parola, ci hanno raccontato varie imprese.
Calcio d’inizio sabato 9 novembre, dopodomani al Villoresi di Monza. Partita che vivrà anche gli stadi, pardon i teatri, di Modena, al Michelangelo, il 10 gennaio (giorno in cui “Tutto il calcio minuto per minuto” compirà 65 anni ). Poi il 27 gennaio sarà la volta di Napoli, al Troisi ed il 29 gennaio, al Ghione di Roma. A proposito di teatri, ecco la sua intensa chiacchierata per Milanoteatri.it
Domenica, al Maradona, ha raccontato un’attenta roboante zittire la capolista Napoli roboante è il suo timbro, incalzante la sua forza narrativa psicagogica, in grado cioè di trasportare l’anima dell’ascoltatore, un caloroso benvenuto, sulle colonne di Milanoteatri a Francesco Repice
“Grazie, per questa roboante presentazione“
Tu introduci partite, racconti pallone, dai l’attacco ed accompagni azioni e storie di 22 giocatori, ma sabato, prima di una lunga serie di tappe che ti vedranno girare l’Italia in lungo e in largo, racconterai una partita particolare e fascinosa, quella delle voci che hanno dato voce alle imprese dello sport e non solo
“Ad una serie di imprese sportive e che si sono intersecate ad eventi sportivi, che per importanza e drammaticità, li hanno travalicati; la mia intenzione, è quella di riportare nuovamente all’orecchio dello spettatore e di raccontare alcuni nostri colleghi che hanno segnato, con il loro lavoro, le nostre vite e scritto pagine importanti della storia, un evento esiste se viene portato alla luce, molti colleghi, soprattutto radiofonici, hanno portato alla luce eventi, facendo vivere quelle emozioni che meritano. La voce degli eroi cerca di essere questo: una voce diventa eroica, quando riesce a far passare all’attenzione ed alla storia l’evento, che altrimenti, non sarebbe conosciuto“.
Francesco, a proposito di voci, Herbert Chapman, prima calciatore ed allenatore, inventò il sistema, da cronista, per la Bbc, iniziò a narrare il calcio, diede il la’ ad un sistema di sogni: Nicolò Carosio, nei campetti del Nord Italia, provava ad essere lui. Più avanti, Enrico Ameri, attraverso una pentola di fagioli, sotto il tavolo, immaginava di essere Carosio. Ma quanto è importante questa mimesis, imitare una voce, ma senza snaturare la propria; un po’ come un bambino che impara ad andare in bicicletta con le rotelline, ma poi, sale su una bici e va da solo
“Ognuno ha il suo stile ed istintivamente riesce a creare il proprio stile, la propria cifra. Tu prima di tutto devi cercare di rendere emotivamente partecipe, se non mi emoziono io, non si emoziona nemmeno quello che mi sta ascoltando, altrimenti,il racconto, diventa uno scialbo resoconto. Si chiama empatia, come dicono quelli bravi. Tutti questi mostri sacri hanno veicolato, attraverso le proprie voci e le proprie caratteristiche ed i colori delle loro voci, emozioni. È fondamentale avere un modello, è poi determinante costruirsi uno specifico modo di donare quelle emozioni, che prima, ti si donano a te“.
Chi ti parla, all’età di sei mesi, fu messo sulle spalle da suo papà e portato, quasi lanciato in orbita alla scala del calcio, per assistere agli ultimi 5 minuti di Milan – Cremonese 2 – 1. Era il giorno in cui ci lasciava Carosio. Quegli ultimi cinque minuti furono i miei primi minuti, di fatto, di calcio. Fu una sorta di folgorazione. Anche le voci sono state folgorate. Per Platone ĺ’arte è un fatto irrazionale ma intessuto in modo tremendamente razionale.
“Non esiste esercizio giornalistico e quindi razionale, scientifico, più puro di una radiocronaca, radiocronos, un raggio in un tempo, cerco di dirlo nello spettacolo, tutto quello che si srotola davanti ai miei occhi, ora, devo riportarlo, fedelmente, agli ascoltatori condendolo, non solo con dei termini, quindi la parola, ma con un tono di voce che appassioni chi ha acceso la radiolina e che mi sta ascoltando è altrettanto vero, che se ho disposizione poche parole, risulta tutto difficile, inutile, stucchevole, difficile all’ascolto, in questo Sandro Ciotti ci ha insegnato tutto, ci spiegava che dovevamo camminare con uno zainetto immaginario sulle spalle, e riempirlo, di continuo, di parole, leggendo tutto quello che ci capita a tiro: giornali, riviste, cartelloni, pubblicità, scritte sui muri: una parola vi salverà sempre, vi caverà’ d’impaccio da situazioni difficili. Ci diceva. In radiocronaca, situazioni complicate, c’è ne sono tante, il problema che in radiocronaca non puoi star zitto, un secondo di silenzio in radio equivale ad un’ora in TV. Hai bisogno di tante parole, di molti termini. Qualcuno ha indicato la strada, poi il resto lo abbiamo fatto da soli”.
A proposito di indicatori di strade, siamo un po’ nani sulle spalle di giganti, per usare l’espressione di Teodorico di Chartres. Sulle spalle di giganti del mestiere, ma anche su spalle di altri giganti, cosa che possono rivelarsi anche i propri genitori. Dal vedere al guardare. Tu su Instagram, hai raccontato che eri in Brasile nel 2013 quando appresi la notizia della dipartita di tuo papà ed un anno dopo, in quegli stessi giorni, sei diventato prima voce della nazionale
“Ad un certo punto devi necessariamente guardarlo il calcio, se vuoi in qualche modo diventarne protagonista, non basta più vederlo. Non è complicato per chi ha giocato a pallone, io l’ho fatto a livelli bassi, ma cambia tutto. Se guardi, non vedi piu’ soltanto. Te ne accorgi sia dal commentatore che dalla seconda voce. E’ una questione di ritmo, di tono della voce, d’interpretazione della partita, di termini, dì visione, di conoscenza dei giocatori e delle regole. Solo uno sguardo clinico ed attento ti permette una comprensione. A velocità supersonica, perché questo ci impone il chronos, il tempo, il raggio, la parola. Il fatto che sia capitato un anno esatto dopo la morte di mio padre, in una data per me particolare come il 14 giugno, arricchisce tutto di un pathos. io non sono uno che non crede a certe cose, perché non sarebbe giusto, io proprio non le conosco certe cose e siccome io certe cose non le conosco, mi devo fidare del mio istinto, può darsi che sia stata un’occasione, per mettere in scena con pathos, quindi teatralmente, con emozioni, una vicenda che mi ha visto protagonista”
In Clamoroso al cibali, Riccardo Cucchi, racconta che questa frase non si sappia chi l’abbia pronunciata davvero. E forse, in fondo, sia stata la radio stessa a dirla, è un’eco della radio. Carosio, Ameri, Ciotti, Cucchi, Repice, assistman ed echi del pallone stesso?
Si però il rischio che si corre è quello che siamo noi i protagonisti, ma non lo siamo, ma protagonista è l’evento, è chiaro che chi ti sta apprestando a salire su un palcoscenico, a raccontare voci che hanno raccontato eventi particolari, non può essere cosi credibile, come, si potrebbe dire: se tu steso che vai a raccontare un evento, se tu stesso diventi l’evento come puoi sperare di non essere l’evento che racconti. Bisogna scindere le due cose; il teatro è una cosa, giornalismo un’altra. Se noi che raccontiamo l’evento, diventiamo evento, non siamo più credibili, c’è qualcosa che non va, giornalisticamente, se diventiamo più importanti dell’evento, c’è qualcosa che non va. L’ evento è l’evento, quello che si materializza davanti ai nostri occhi. Possiamo poi essere più o meno coinvolgenti, ma l’evento è l’evento. Chi lo racconta, non può e non deve essere protagonista. Siamo stati e siamo certo, semplici strumenti, del pallone e delle sue traiettorie”.
Alla radio annunci, sul palco sei in qualche modo un rapsodo, cuci insieme canti di voci, un box to box, dal Repice auditivo a quello visivo e scenico, insomma, un tuttocampista, della voce.
“Da sud a nord, gireremo e faremo girare queste voci e questa è un po’ la potenza della radio, anzi, la vera potenza della radio. La capacità di poter fruire di questo strumento, con grande semplicità. Pensavamo addirittura che con le nuove tecnologie, la radio ammainasse un pochino bandiera, invece l’avvento delle nuove tecnologie ha esaltato le caratteristiche, uniche, della radio. Per esempio, se io sono in vacanza in Nuova Zelanda e sono in macchina, agli antipodi del mio paese, posso ascoltare la partita in diretta della mia squadra del cuore tramite la radio. Ed è molto fruibile. E’la potenza del mezzo, che non morira’ mai. Quando tutto finirà, ci sarà sempre una radio accesa, a raccontarci quello che accade”.
Hai evocato prima l’immagine evocativa dello zaino delle parole di Sandro Ciotti, per te, la sua persona ha il sapore delle sue sigarette, il graffio della sua voce?
“Guarda per me Sandro Ciotti è un maestro della parola, un esempio così difficile da imitare, una vetta troppo alta da scalare, come canta Venditti. Una montagna decisamente troppo alta. Perché metteva insieme un po’ tutto e lo sapeva fare in modo armonioso lineare, godibile. La sua grande cultura, il suo vocabolario, il suo ritmo, amava il calcio, ci aveva giocato davvero, era mediano e poi anche qui, nasce nel 1928, in piazza della Libertà, tifoso della Lazio, nata nel 1900 nata proprio lì, in piazza della Libertà nel 1900, lui abitava lì, dove nasce la Lazio e lui viveva lì, in quella piazza lì. Questo si può leggere come dato di cronaca, chiamalo allineamento dei pianeti. Ma, io, ribadisco, a cere cose, ci credo”.
Com’è possibile, in un mondo parcellizzato ed iper frammentato, che il desiderio di essere voce, mio e di altri ragazzi e ragazze, non vada perduto, ma preso sul serio e non messo tra parentesi?
“Non viene messo tra parentesi, viene sempre più ascoltato. Chi ha il tempo di stare incollato al video 24 ore, 365 giorni l’anno. La voce della radio e le voci della radio, non devi inseguirle, ti e ci inseguono, mentre tu vivi la tua vita, da persona, da fidanzato, da figlio, da amico, da padre, non bisogna stare lì a farsi lobotomizzare dalle immagini, non puoi mai sapere dove e a quante persone arrivi la tua voce, nessuno può saperlo, è impossibile, il mezzo non lo permette, ha come l’antibiotico, un altro effetto, non solo in superficie, che nemmeno noi immaginiamo. La tua voce, ogni voce che ha questo desiderio già per questo viene presa sul serio dalla propria persona ed ascoltata, poi,mai porsi limiti”
Luca Savarese
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