Yvonne Capece e Walter Cerrotta, della compagnia (S)BLOCCO5, approdano con successo al Teatro Sala Fontana, con un poco frequentato testo di Giovanni Testori. La monaca di Monza, scritto negli anni ’60 a seguito della pubblicazione degli atti del processo a Marianna de Leyva, la Gertrude de I promessi sposi. è proprio l’inquadratura del Manzoni che fornisce il pretesto alla messa in scena della sempre irriverente ferocia del linguaggio testoriano, interpretato con intensità attoriale e registica da Capece e Cerrotta. Decisa, pulita e mai monotona la recitazione di entrambi: versatile quella di lui, tra il tragico e il derisorio, all’occorrenza ironicamente affettata, sotto il sottile velo della (in)decenza. Potente l’interpretazione della protagonista, la parola magmatica e cruda di Testori ne plasma i gesti isterici, scandendo i movimenti impacciati della “monaca bastarda”, della donna privata dall’abito della sua libertà e che, ancora, in un silenzio assordante, fa i conti coi fantasmi del suo passato.
Lo spazio scenico è lineiforme, curato nella sua essenzialità, grazie al sostegno di quattro panche, spostate dagli attori per dar forma a una geometria in continuo mutamento. Suggestiva la musica, scelta attentamente dal repertorio dell’epoca.
La drammaturgia testoriana affronta il connubio contraddittorio che abitò l’opera dell’autore, quello fra cattolicesimo e omosessualità; un testo non ospitale, anche nelle sue connessioni con la contemporaneità. Il grido raccolto dai due attori-registi è il grido dell’autodeterminazione contro un ordine morale; con non scontata eleganza viene resa giustizia e onore alla parola testoriana, che precede il pastiche della prima trilogia ma ne ha già la densa letterarietà.
Carne che, nell’invocazione, si fa Verbo, e che – non meno importante – sceglie come luogo privilegiato quello dello spazio teatrale, carne liberata dalla parola, parola che non riesce ad essere risolutiva, ma non rassegnata ad essere inesausta.
Arianna Lomolino
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