“La casa del sonno” incanta il Teatro Filodrammatici

Filippo Renda porta al Teatro Filodrammatici (dal 13 al 18 gennaio 2015) un adattamento del famoso romanzo, amatissimo in Italia, La casa del sonno di Jonathan Coe.

Tanti i temi del romanzo che vengono portati con grande ispirazione scenica sul palco da Renda: la gioventù, l’amore, il sonno, la nevrosi, la depressione, la psicoanalisi. Tutti temi cari alla letteratura di Coe e a molto teatro moderno di fine novecento.

Senza anticipare molto sulla trama possiamo dire che i due temi, che si stringono l’uno nell’altro davanti agli occhi dello spettatore e incanalano gli altri, sono il sonno e l’amore, quest’ultimo che si trascina senza possibilità di salvezza.

La casa del sonno è un centro di cura per chi ha problemi nel suo rapporto col sonno: i fastidi che si provano nella mancanza di quiete notturna sono riconducibili a mali interiori e a ferite dell’anima che si ritraggono durante il giorno per manifestarsi nel disturbo del dormiente. Jonathan Coe non crede che il tempo ceduto al sonno vada perduto: quel lasso di tempo dell’inconscio deve naturalmente aggiungersi alla vita di tutti i giorni. La coscienza forse dilegua nell’oblio quei ricordi confusi e sovrapposti ma l’emozione connessa, minuscola al notturno8risveglio, ridotta sul terreno neutrale del mattino, resta pur sempre concreta, vissuta. La regia espande questa tematica rendendo lo spettacolo come un grande sogno dove, come nel sonno, le regole dello spazio e del tempo si annullano e regna la libertà dell’emozione che trascina i due protagonisti alla ricerca di se stessi e del proprio tempo che ce li presenta distanti o congiunti. Grazie a questo sentire diviene automatica e ricca la contaminazione con il linguaggio del cinema, della graphic novel e addirittura quello del romanzo.

L’amore colpisce e commuove: ognuno di noi non è altri che la persona che ama. Il tema dell’annullamento sconvolge lo spettatore nel finale. Quello che diventiamo notturno 2a causa dell’amore non è altro che il desiderio, l’immagine che di noi ha la persona amata. Il tempo diventa solo la tensione a diventare qualcos’altro, quello che non siamo, quello che vorremmo essere per essere amati, accettati, presi da chi abbiamo scelto di amare. I due personaggi si muovono sulla scia della metamorfosi resa dalle due attrici, Alice Redini e Irene Serini, che piegano il loro grande talento alla follia dei loro personaggi: bravissime dall’inizio alla fine, dosano con naturalezza ironia e tensione, a metà tra Tim Burton e Hayao Miyazaki sia nella fisicità che nell’uso della voce.

Questo spettacolo riesce a spiegare il senso dell’amore: un vagare tra le continue visioni di se stesso, descrizioni rischiose e figlie dei capricci della persona amata. Cosa siamo di fronte all’amore se un volto sparso, giornaliero, a tal punto instabile da non riuscire a trattenerlo negli anni.

Grande forza visiva e incantevole dilatazione del tempo umano. Meravigliose le musiche tra cui spicca una splendida canzone di Francesco Tricarico proprio all’inizio. Scenografia e luci che mettono alla prova lo spettatore facendolo sentire quasi a nudo di fronte al racconto e creano un’atmosfera rarefatta e gotica che entra nell’anima. Da vedere.

Da segnalare l’imperdibile incontro con Jonathan Coe e Filippo Renda sabato 17 gennaio alle ore 18.30 al Teatro Filodrammatici.

Francesco Annarumma

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