Enrico IV, una galoppata nella follia

Quelli di Grock

La vicenda di Enrico IV è, ai più, nota.

Durante una parata in costume organizzata per carnevale, uno dei giovani partecipanti (non è dato saperne il nome) cade da cavallo. La caduta, provocata dal rivale in amore Barone Tito Belcredi, causa al giovane un trauma che lo porta a calarsi definitivamente nei panni del personaggio interpretato: ENRICO IV di FRANCONIA. Per intenderci quello di CANOSSA, del papa Gregorio VII e MATILDE DI TOSCANA; quest’ultima era, nella parata, interpretata dall’amata del giovane: la Marchesa Matilde di Spina

Un salto di 900 anni indietro facilitato anche dall’ indole “strana” ed ”estrosa” del soggetto.

Da quel momento comincia per lui una vita fatta di corte e trono, di banchetti, di Landolfi, Arialdi, Ordulfi, Bertoldi, di abati e monsignori; accompagnato in questa fissazione (come la chiama lo psichiatra Dionisio Genoni) da una congrega di individui che per affetto o per compenso ne assecondano la pazzia. Dodici anni dura la follia prima che ENRICO IV  rinsavisca. Si riprende, ma continua a fingersi pazzo: non è per lui ammissibile aver perso la giovinezza e non riesce accettare una realtà improponibile in cui colui che ha cagionato la sua pazzia è ora l’amante della marchesa e da lei ha avuto una figlia. Meglio fingersi pazzo in un mondo fatto di giorni uguali ai precedenti: cristallizzato, dove il tempo non corrompe fisico ed anima.

Questa per sommi capi la trama dell’opera che gli attori del quarto anno del corso di QUELLI DI GROCK stanno portando al Teatro Leonardo dal 13 ottobre come spettacolo finale della scuola.

Quelli di Grock
Quelli di Grock

C’è tanto in questa messa in scena. Ci sono bellissimi costumi, scene eleganti, c’è teatro di animazione, commedia dell’arte, una gestione degli spazi teatrali totale condivisa in parte con il pubblico…e un ritmo veloce.

Ritmo di corpo e di parola che per tutto il primo atto amplifica la parte farsesca dell’opera. Esilarante l’inserimento nel “cast di corte” del nuovo arrivato Bertoldo, ma al contempo drammatica l’introduzione alla pazzia dell’ENRICO IV fatta attraverso una maschera non indossata, avulsa dal personaggio.

Nelle parti corali gli attori si muovono all’unisono ed i cambi scena sono piccole opere a se stanti.

Un primo tempo che vola e che fornisce allo spettatore tutti gli elementi necessari per farsi coinvolgere ed emozionare in un secondo tempo caratterizzato da ritmo e da temi più intimi.

Un secondo tempo in cui la trama è data più che dall’evolversi dei fatti dal disvelamento dell’intimità dei personaggi.

Arriva tutto, al pubblico: l’evidenza che la pazzia di ENRICO tiene prigioniero lui, per scelta, ma anche chi gli sta vicino. L’ incompletezza di chi vive una vita in funzione di un altro. L’amarezza che si prova a dover quotidianamente indossare una maschera per onorare un ruolo, lo sgomento di sorprendersi d’improvviso, un giorno,  20 anni più vecchio, l’ineluttabilità di un finale tragico e non consolatorio.

Bravissimi tutti. Da vedere.

Roberto De Marchi

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