Dall’altra parte… c’è Emanuele D’Errico a Teatro i

altra parte
foto Pino Montisci

Torniamo al Teatro i di Milano per uno studio di Marian Diamond, neuroscienziata e professoressa presso la University of California, la quale ha dimostrato che il 50/75% dei neuroni viene perso durante lo sviluppo prenatale e si continuano a perdere neuroni lungo tutto l’arco della vita.

Incuriositi, come sempre, da una presentazione così abbiamo contattato Emanuele D’Errico, regista, attore e drammaturgo al quale abbiamo chiesto quando e perché nasce lo spettacolo Dall’altra parte – 2 + 2 = ?

Dall’altra parte nasce nel 2017, eravamo al secondo anno della Scuola del Teatro Stabile di Napoli. Dario, Francesco ed io (i tre attori dello spettacolo) vivevamo insieme in una piccolissima casetta grande pressoché quanto un utero materno. Un minuscolo spazio vitale, in una convivenza stretta e per questo anche difficile. Le nostre tre personalità sono entrate in una relazione quotidiana. Lì siamo diventati fratelli con tutti i pro e i contro che questo comporta. Durante le notti di gioco, confronto, sfogo e scontro in quella casa sono nati i primi stralci di drammaturgia. Ho svolto una serie di ricerche sul tema della gravidanza e nello specifico sulla gravidanza gemellare. È così che ho scoperto lo studio scientifico di Mariand Diamond sul quale si basa la drammaturgia. La fantasia ha fatto il resto.

Ho fantasticato sulla possibilità fantascientifica che all’atto del concepimento fossimo all’apice della nostra genialità. E che succede se a condividere questa esperienza degenerativa sono tre feti obbligati per nove mesi a condividere uno spazio stretto, in grado di intendere il proprio inevitabile destino? Sono nati i tre personaggi: Febo, Damiano e Innocente. Loro per me rappresentano tre ecosistemi esistenziali di vita: il cinismo, il poetico e la fragilità. L’esito è dichiarato dall’inizio ma nonostante questo, il bisogno dell’uomo di sopravvivere, seppur affrontato in maniera diversa da ogni personaggio, è ciò che li tiene uniti e anche ciò che li separa. Qualcosa però ad un certo punto non va secondo i piani prestabiliti, perché i progetti spesso cambiano e davanti al corso inarrestabile di questi diventa impossibile fermare il tempo e ricominciare da capo. Il tempo è dato, il tempo è definito e in questo spazio una voce femminile lo scandisce richiamando all’ordine gli abitanti della pancia e ricordando loro con freddezza l’oggettività di ciò che esiste.

Chi sono i tre gemelli che vedremo sul palco del Teatro i?

I tre gemelli che vedrete sul palco sono tre attori cresciuti insieme, da tutti i punti di vista. Io, Dario Rea e Francesco Roccasecca, dopo essere stati scelti nel primo triennio della Scuola del Teatro Stabile di Napoli abbiamo intrapreso un percorso che ci ha portato a lavorare insieme in svariate produzioni, dai Teatri Nazionali alle passeggiate filosofiche, dal Piccolo di Milano alle prime prove nel nostro spazio in Sanità. Siamo tre attori molto diversi, con caratteristiche e peculiarità specifiche e uniche, ma nonostante ciò ci dicono, e questo solo i nostri spettatori potranno confermare o smentire, che in scena c’è tanta sintonia tra noi. Mi piace pensare che questo spettacolo che parla di tre fratelli rispecchi un po’ il rapporto d’amicizia che ci lega nella vita.

C’è stata, se c’è stata, una difficoltà nella creazione di uno spettacolo come Dall’altra parte – 2 + 2 = ?

La difficoltà che abbiamo affrontato in questo allestimento è stata sicuramente nella gestione totalmente autonoma della produzione che all’inizio abbiamo intrapreso inconsapevoli di come funzionasse realmente. Ma devo dire che nonostante questo siamo riusciti a mettere su un lavoro che per chi lo guarda non sembra costruito con poche risorse perché il lavoro di squadra e le diverse maestranze che hanno creduto e investito nello spettacolo hanno reso possibile l’impossibile. Siamo riusciti alla fine a fare uno spettacolo che dal punto di vista tecnico e produttivo è complesso, ed è quello che volevamo ottenere. Questo chiaramente ci ha messo in difficoltà ma devo ammettere che ci piace molto complicarci la vita e cercare sempre di alzare l’asticella e spingerci oltre i nostri limiti. Per fortuna abbiamo incontrato sul nostro percorso persone che hanno creduto in noi e nel nostro lavoro e che hanno deciso di investire. In questo senso va citata Cranpi che dall’anno scorso ha preso in gestione lo spettacolo e ci permette di circuitare. Un altro fattore importante per la crescita del lavoro è stato la partecipazione ai premi come Scenario (dove siamo arrivati in semifinale) e il Premio delle Giovani Realtà del Teatro che abbiamo vinto. Questi premi ci hanno dato fiducia e ci hanno permesso di lavorare un pezzettino alla volta, costruendo passo dopo passo quello che oggi è lo spettacolo. In questo senso va ringraziato anche il Teatro Sannazaro che ci ha ospitato in residenza e che per primo ha investito nello spettacolo.

In scena una corda.

Questo ‘cordone ombelicale’ quando si spezza, se si spezza?

La corda in scena c’è sempre stata. È davvero l’unico elemento imprescindibile, che nelle infinite modifiche ed evoluzioni che lo spettacolo ha vissuto nel lungo processo di creazione, è sempre rimasto. La corda chiaramente è un impedimento fisico importante ed è diventato giorno dopo giorno un elemento fondamentale per la costrizione dei tre feti. È stato faticoso e divertente allo stesso tempo l’allenamento e la sperimentazione di tutte le possibilità che la corda potesse darci. Alla fine la corda si spezza perché è così che deve essere, perché è scritto che sia così (e non da me). Non per tutti e tre questo evento avrà lo stesso esito. Ma non dico più di questo, lascio che lo scopra chi verrà a vedere lo spettacolo.

Va bene… a questo punto chi vorresti vedere seduto in prima fila a Teatro i?

In prima fila vorrei vedere volti mai visti.

Amo vedere spettatori sconosciuti, pubblico vero, persone di tutte le età. Il teatro è per le persone, sono loro che ne devono fruire e io spero di vedere in prima fila qualcuno che non conosco e che dopo questo spettacolo continui ad andare a teatro. Tra l’altro ci è capitato già due volte di avere due persone che sono entrate in teatro per la prima volta, che come primo spettacolo nella vita hanno visto questo. Direi che è una gran bella soddisfazione. E poi aggiungo un pensiero molto personale: in prima fila vorrei vedere mia nonna che è sempre stata la mia più grande sostenitrice ma che purtroppo è andata via prima di poter vedere questo spettacolo completo.

Sono sicuro che continua ad essere una tua grande sostenitrice.

Sei molto giovane, cosa significa oggi dopo tutto quello che ha passato il teatro, fare ancora teatro in Italia?

È difficile rispondere a questa domanda.

Io il senso dietro il fare teatro oggi lo sto disperatamente inseguendo ma più mi avvicino più lui si allontana. Sono tante le domando che mi pongo. Se c’è una piccola e semplice risposta che mi sento di dare oggi è che il teatro è veramente rimasto l’unico luogo dove i corpi si incontrano. In un’epoca dove si sviluppa il metaverso credo che il teatro sia così anacronistico da diventare necessario. È un atto di comunità in una società sempre più individualista. Detto questo non posso negare la forte crisi che vedo nel settore, questo mi spaventa ma sento e spero che il teatro rimarrà il bunker sotto il quale rifugiarsi per tornare a riflettere sul senso di questo passaggio nel mondo.

C’è meritocrazia in teatro…

In teatro c’è meritocrazia… d’istinto mi verrebbe da rispondere sì Ma è una meritocrazia per pochi. E sono consapevole dell’ossimoro che si viene a generare. Io credo fermamente, e non soltanto nel teatro, che chi investe fortemente in una cosa, e studia, e ricerca e si specializza e si dedica totalmente in quello, prima o poi troverà il suo spazio. È chiaro che non possiamo generalizzare il discorso a tutti i livelli, perché sappiamo tutti che esistono diversi “teatri”. È ovvio che purtroppo la circuitazione di un certo tipo di teatro istituzionalizzato o commerciale non possa essere minimamente paragonata a quella di un teatro più ricercato, profondo e contemporaneo. Sono due mestieri diversi. Soprattutto la capacità di darti da vivere, cosa che ogni lavoro dovrebbe fare per potersi chiamare così, è una rarità. Quella dell’artista di teatro è piuttosto una sopravvivenza, basti pensare che quasi sicuramente non potrà mai aprirsi un mutuo autonomamente.

Per quanto riguarda i giovani, il serio problema oggi è la mancanza dello spazio dell’errore, la contemplazione e il superamento del fallimento. Quei pochi spazi che esistono sono soggetti alla logica dei premi e quindi della competizione. È una continua dimostrazione del proprio talento, e quando poi arrivi ad avere lo spazio ricadono su di te una serie di responsabilità ingiuste, come se ti stessi giocando l’opportunità della vita. E se sbagli, se non hai la lucidità di cogliere l’occasione, sei fuori dal sistema, etichettato già.

Per concludere io credo che ci sia meritocrazia nel senso che chi ha la forza di investire seriamente in quello che fa troverà il suo spazio, ma la fatica che dovrà metterci ne sarà valsa la pena?

Questa domanda te la farò la prossima volta che ti intervisterò, perché io credo nel talento e tu con i tuoi compagni di scena ne avete tanto.

Per concludere io questa interessante chiacchierata, dopo aver visto a Teatro i lo spettacolo Dall’altra parte – 2 + 2 = ? quale domanda vorresti che ti facesse uno o una spettatore/trice?… chiaramente tu cosa risponderesti.

Dopo che persone hanno visto questo spettacolo, ma anche tutti i miei spettacoli, vorrei che uscissero pieni di domande alle quali io non saprò rispondere. Perché credo che la forza di un’azione artistica stia in questo, nella capacità di generare domande interiori, di smuovere mondi personali nei quali nessuno può entrare se non ognuno per sé. Ho ascoltato domande e punti di vista su questo spettacolo ai quali non avevo mai pensato prima e credo che questa sia una grande forza. Significa che l’opera è riuscita a generare livelli sconosciuti e piani di lettura diversi mettendo lo spettatore nella condizione di fare un lavoro, ed è proprio questa la forte differenza tra il teatro e la serata Netflix sul divano.

E noi di Milano Teatri siamo per una serata a teatro, perché dall’altra parte c’è…

DALL’ALTRA PARTE – 2 + 2 = ?
dal 09 al 12 dicembre 2022– Teatro i
drammaturgia e regia Emanuele D’Errico
con Emanuele D’Errico, Dario Rea e Francesco Roccasecca

sinossi

Tre gemelli eterozigoti si incontrano nell’utero materno. Sono appena stati concepiti e realizzano di essere tre geni, consapevoli che con il passare del tempo e l’avvicinarsi della nascita perderanno gradualmente neuroni fino a raggiungere la totale incoscienza natale. Nascono sfide e competizioni interrotte da misteriose scosse esterne che scandiscono il passaggio del tempo. Ad ogni scossa qualcosa cambia: la loro postura, le loro capacità intellettive. Le informazioni vanno scemando. Il gioco diventa sempre più infantile, il loro linguaggio meno forbito. Ma alla quarta scossa qualcosa non va come le volte precedenti.

Buona serata a teatro

TiTo

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