La stagione Corrispondenze del Teatro Officina si apre con lo spettacolo più di successo della stagione precedente: Ci ho le sillabe girate! Dramma dislessico per giovani attori, con la regia di Enzo Biscardi.
Il drammaturgo Alberto Cavalleri regala una narrazione limpida, piacevole, conscia dell’urgenza comunicativa e della sua utilità. In questo senso, la tecnica di scrittura a bordo del palco (frutto delle prove e del lavoro con gli attori) si rivela non solo ottimale ma anche espressivamente sensibile.
Il pretesto narrativo prende spunto dalla quotidianità di quattro studenti universitari che, per socializzare con tre ragazze indiane, decidono di preparare delle polpette fatte in casa, mancano solo gli ingredienti… da qui prende avvio il dramma dislessico, autoironico e tuttavia serio, complice di una leggerezza che solo la consapevolezza si può permettere.
Così, tra una chiacchiera e una presa in giro, i quattro giovani protagonisti vengono ad imbattersi in un argomento che li riguarda dal di dentro, quello della dislessia. Francesco Arioli, Stefano Grignani, Sebastian Luque Herrera e Pietro Versari dimostrano maturità attoriale e talento; ognuno con distinguibile personalità porta sulla scena il proprio dramma, insieme a quello collettivo. Il testo è infatti composto da esperienze biografiche tra loro (s)combinate, girate come le loro sillabe. Ciascuno in questo modo si fa portavoce non solo del proprio vissuto ma anche di quello degli altri, prendendo atto di una realtà non semplice da definire, ancor meno da rappresentare.
L’idea registica si fonde fluentemente con l’impianto scenico e il sistema delle luci, gustosa è la scelta delle musiche, piacevole la geometria scenica. Si raggiunge una vetta di genialità con la rappresentazione materiale dell’interno della mente di un dislessico: incastro metaforico degli oggetti a disposizione sul palco, in cui si viene volontariamente a trovare l’unico non portatore di DSA, incuriosito da quell’ombra nella testa dei suoi compagni, pesci senza branchie in un mare di parole e numeri ribaltati.
La sala colma e accogliente del teatro si riempie fin dall’esordio della voce di Z, che tagliente emerge rivolgendosi allo stesso pubblico; giudica, deride, forte del senso comune, patrona del pregiudizio.
L’unica voce femminile però non rappresenta solo il brusio del mondo esterno, ma anche quel rumore interiore che ci fa dubitare di noi stessi, dislessici discalculi disgrafici e non – ma sicuramente qualcos’altro.
Un lavoro educativo e divertente, che stupisce per il disinvolto coraggio, che sorprende per la bravura degli allievi della scuola del Teatro Officina.
Vogliamo continui a raccontarsi, entrando nelle scuole, allargando le prospettive dell’insegnamento, contribuendo a sgretolare il muro del preconcetto, accendendo il desiderio di imparare a conoscere.
Perchè è sì uno spettacolo che parla di dislessia ma che più ampiamente affronta il tema della diversità, riflettendo sull’incontro con l’alterità e sullo scambio prezioso che può attivare.
Si esce dal teatro sazi e curiosi, verrebbe da chiedersi se più che un’educazione alla diversità non ci sia bisogno di un’educazione alla parità.
Arianna Lomolino
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