Uno sguardo su “Bach Project”

bach project

Una singolare anteprima nata in collaborazione con Mito Settembre Musica/Torino Danza per Aterballetto ha aperto la 32° edizione di MilanOltre Festival al Teatro Elfo Puccini. In scena Bach Project, un dittico per due coreografi: Jri Kylian con Sarabande dalla Partita in re minore Bwv 1004 in una versione elettronica e Diego Tortelli con Domus Aurea su musiche di Bach trascritte da Giorgio Colombo Taccani eseguite dal vivo dall’Ensamble Sentieri Selvaggi con scene di Massimo Uberti, artista visivo.

Jri Kylian, coreografo praghese, grande maestro della scena internazionale e artista di eccezionale profondità di visione, musicalità e originalità – dal 2006 ha intrapreso anche un suo lavoro di ricerca in attività cinematografica – ha presentato per la serata “Sarabande” pièce del 1990 rielaborata per Milanoltre con una sorprendente capacità progettuale e innovativa.

Nel quasi buio la scena si apre con sei bellissimi e scuri costumi d’epoca appesi ciascuno a un filo che poi lentamente, a tempo sincrono, si tira sollevandoli e lasciando pertanto intravedere – con luce sfolgorante a sorpresa sotto ogni abito – sei danzatori allineati rasoterra che con gestualità di braccia e mani striscianti, supportati dall’uso delle voci, producono sonorità taglienti così come tagliente e secca è stata la netta – seppur graduale – separazione tra corpo del costume – come struttura esteriore – e apparizione del corpo vivo – come intima interiorità.

I suoni si fanno sempre più assordanti urlati e amplificati mentre i volumi degli abiti d’epoca si assorbono come evaporando nell’aria. Le movenze procedono sincronizzando gesti e rumori, sensazioni di suoni percepiti dai semplici gesti dei danzatori – come quello di togliersi o rimettersi una maglietta sul viso o su altre parti del corpo – dando forma a diverse variazioni.

Il tutto risolto con assoluto rigore e aggressiva geometrica precisione pur nella sua spaziale e concettuale circolarità. Una danza essenziale secca e asciutta espressa con eleganti tonalità.

Diego Torelli, giovane artista, ballerino e coreografo tra i più innovativi della scena contemporanea, già catalizzatore di progetti quali In/finito e Tempesta, ci proietta con “Domus Aurea” in uno spazio trasformativo-estensivo tra corpo e luogo abitato dove i confini dell’uno e dell’altro si annullano ricreando una continuità organica che respira del propriocettivo suono tra riassorbimento e restituzione delle forme assunte in un gioco di precari equilibri.

È in queste aeree demarcazioni che evolvono le diverse sequenze come il roteare di braccia e gambe nelle varie deposte scomposizioni; oppure negli attorcigliamenti dei corpi lasciati e ripresi o capovolti nella successione di gesti alternati tra braccia o gambe tese come segmenti sospesi o linee in bilico tra certo e incerto. Il tutto gestito da una coreografia di velata astrazione condotta con movimenti essenziali.

Una danza astratta e rigorosa ma fluida e spesso sospesa in sequenze plastiche avvolte di enigmatica poetica.
Sedici i danzatori in scena, solo uno in abiti scuri si contrappone agli altri – di bianco vestiti – come materia oscura che aleggia in un habitat che via via si ricrea tra corpo fisico e metafisico a seconda delle qualità dei suoni, ora acuti ora vitrei o metallici, influenzandone assonanza o dissonanze nel gioco delle parti.

Una dimensione che si costruisce o decostruisce alternando interno ed esterno.
Molto interessanti i momenti in cui i danzatori distribuiti all’esterno della Domus in traiettorie binarie- laterali, oscillano proiettando l’espansione di un immaginario spazio mentale contrappuntato da una scansione temporale.
Ancora, quando all’interno della domus, il suono scandito da rumori metallici, luce artificiale d’irreale-estemporaneo-notturno, una coppia danza mentre i movimenti di una delle parti trasferiscono l’idea di una lacerata astratta scarnificazione che si dissolve annullandone il proprio peso specifico.

Diversi i contrasti tra buio e luce, suoni e silenzi, atmosfere oniriche, che sembrano evocare lo spirito di Paul Delvaux.
Un dittico d’ouverture dei due coreografi che nella loro proposta di ritmi, più compressi in Sarabande, più diluiti nella Domus, esprime una comune necessità di ricerca verso qualcosa di ancora più sottile dell’apparente visibilità e in tutto questo l’uso delle luci certamente non lascia indifferenti!

Vitia D’Eva

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