
Dopo lo strepitoso (S)legati, sembrava impossibile riuscire a ripetere il miracolo di uno spettacolo così efficace, raccontando una storia apparentemente simile ma in realtà profondamente differente.
Ci riescono invece perfettamente Jacopo Maria Bicocchi e Mattia Fabris, raccontando per la seconda volta una storia (vera) di montagna. Se (S)legati ci aveva trasportato in un mondo di pura avventura, lasciando procedere la drammaturgia in ordine cronologico fino al culmine degli eventi, questo nuovo spettacolo propone invece una scrittura e una messinscena dal sapore diverso. Qui l’evento clou (la caduta nel precipizio) è posto all’inizio, dopo pochissimi minuti e questo permette ai due autori – attori – registi di mettere a fuoco, oltre all’emozionante tentativo di salvezza, la profonda amicizia che legava i due alpinisti Mike Price e Jim Davidson, prima e durante la loro tentata scalata al monte Reiner nel 1992.
Lo fanno attraverso una drammaturgia sincopata, che procede per continui sbalzi tra i tragici attimi di buio in quel precipizio profondo trenta metri e la goliardica preparazione all’impresa, con il costante accompagnamento di una buona birra, l’altra grande passione del Price – Fabris, il cui sogno è scalare con l’amico Davidson – Bicocchi niente meno che l’Everest, la cui cima è alta quanto quell’aereo che i due amici vedono sopra le loro teste dalla cima del “piccolo” Reiner, pochi attimi prima della tragedia.
Una corda era l’elemento simbolo del precedente (S)legati, costantemente tesa tra i due alpinisti nel gelo delle Ande. Anche qui c’è un unico elemento scenico a diventare emblema dell’intera storia. Una miracolosa coppia di sedie, ideata con incredibile maestria e inventiva da Maria Spazzi. Una coppia di sedie (le stesse sedie sopra le quali i due attori aspettano gli spettatori e sulle quali consumano birre e guidano autovetture) che da subito inizia letteralmente a perdere i pezzi. Prima una gamba, poi mezzo schienale, poi pezzi di sedile. Per poi improvvisamente ricomporsi alla fine dell’avventura, grazie ad un magistrale lavoro con le calamite.
La storia è strepitosa (come la precedente), emozionante e coinvolgente, non solo grazie alle eccellenti performance dei due attori e alla già citata scenografia, ma anche grazie al magnifico disegno luci ideato da Alessandro Verazzi, particolarmente efficace soprattutto nei tragici attimi della permanenza nel precipizio e del disperato tentativo di fuga verso quel piccolo cerchio di luce sopra le teste dei due alpinisti.
Qualche piccolissima perplessità solo sul finale, che non riveliamo per non rovinare la sorpresa, ma che ci è parso forse un po’ forzatamente consolatorio. Ma è davvero l’unico piccolo peccato che riusciamo a rilevare in uno spettacolo che andrebbe visto, rivisto e rivisto ancora.
Massimiliano Coralli
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