
L’alchimia l’elemento catalizzatore
Nel corso degli anni Jérôme Bel, coreografo e regista francese tra gli esponenti più rilevanti della scena internazionale, ha sviluppato un nuovo approccio alla pratica coreografica in cui danzatori professionisti e amatoriali diventano co-autori delle sue opere, attirando l’attenzione di diverse istituzioni quali il MoMA di New York, il Centro Pompidou di Parigi e il Centro Pecci di Prato. Diverse le collaborazioni con grandi nomi della danza tra cui, nel 2010, quella con Anne Teresa De Keersmaeker e nel 2004 quella con Véronique Doisneau che segna per lui una nuova prospettiva di lavoro con la serie di produzioni che interrogano l’esperienza e il sapere degli interpreti.
Il solo “Cedric Andrieux”, dedicato e interpretato dall’omonimo danzatore, è parte di questa serie “di ritratti d’artista”. In scena il danzatore narra l’avvicendarsi della sua carriera, da quando sceglie di danzare agli anni della formazione, fino alle tournée internazionali, raccontandosi con estrema sincerità, senza nascondere conflitti, esitazioni, fragilità o paure che l’hanno accompagnato nel processo di evoluzione; egli procede indagando nella materia dei propri ricordi alternandosi, ora con la voce ora con il corpo, in alcune delle movenze che negli anni lo videro impegnato sia a New York, con diverse performer per la Merce Cunnigham Company, che a quelle più recenti con il Ballet de l’Opera de Lyon.
In questo solo Cédric Andrieux entra in scena vestito di tuta e zainetto come per apprestarsi a partecipare a un’audizione e/o per affrontare una qualsiasi giornata di lavoro, sul palco nessuna ambientazione che non sia la sua stessa presenza o la sua voce. Tra l’evocazione di un ricordo e l’altro, tra la dimostrazione di una e/o quell’altra tecnica più rigorosa o sciolta, l’interprete, com molta spontanea delicatezza, ci trasferisce l’analisi delle difficoltà superate, addentrandoci non solo nella materia corpo-gesto ma anche in una dimensione più intima e segreta racchiusa nel cuore della materia stessa, dato che, nelle sequenze, il corpo lavora anche oltre limite. Nei passaggi e nel socchiudersi delle memorie rappresentate-raccontate s’innesca il bisogno dell’elemento costume; ebbene il nostro Solo nell’esigenza di cambiarsi lascia la scena e ci parla da dietro le quinte creando un flusso a sorpresa che annulla la distanza tra lui e noi pubblico. Quest’elemento sorpresa ha la sua punta di massima quando improvvisamente irrompe la musica e simultaneamente la scena s’illumina, il faro di luce piomba in tutta la sala creando un’uniformità spazio-temporale a scatto fotografico. Se un attimo prima lo sguardo era a linea orizzontale fronte-palco, ora lo scatto ci ridà istantaneamente lo sguardo alla foto fatta e in questa visione ci siamo dentro noi tutti e a tutto tondo guardandoci e ascoltandoci sulle note dei Police in “Every breath you take” con Cédric Andrieux.
Qui scatta una specie di plastica collisione dove tutto si connette: l’atmosfera è calda e il ritmo vibrante-invitante, gli sguardi si dilatano, lui sorride, noi sorridiamo o ci guardiamo, chi attonito chi meravigliato, qualcuno sussurra col proprio vicino, mentre l’energia ci avvolge in un senso di disorientante-ritrovata
libertà. Una disinvolta scioltezza che raggiunge anche Cédric Andrieux, lì sul palco mentre nasce e rinasce riproducendo se stesso, in tutta la sua metamorfosi creativa che avvinghia anche noi. Una libertà che ora ce lo restituisce come persona prima ancora che danzatore. E’ in questa reciproca prospettiva che noi con lui riusciamo danzare, seppur virtualmente, ispirati dai Police, sul pensiero condiviso che: “ogni respiro che fai io ti guarderò”.
Vitia D’Eva
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