Recensione: “Tournée da Bar – Riccardo III”

riccardo III

Può la malvagità essere insita nell’animo umano? Questa è la riflessione posta dal riadattamento della tragedia di Riccardo III, andato in scena dal 9 all’11 ottobre al Teatro Carcano: Davide Lorenzo Palla e Riccardo Mallus concludono la trilogia di monologhi shakespeariani con il villain per eccellenza della produzione del bardo immortale, trasportando spettacolo e spettatore in un futuro post apocalittico, dalle atmosfere gotiche e spettrali.

Anno 3300, il mondo è alla deriva. Inaspettatamente, però, il Teatro sopravvive come forma di intrattenimento e valvola di sfogo di pulsioni violente dei pochi superstiti che, riuniti in clan, abbandonano le armi all’ingresso ed entrano in uno spazio neutro. E in una società mostruosa, straziata da caos, distruzione e violenza, in cui paradossalmente rimane in vita proprio l’unica forma d’arte in grado di soddisfare un bisogno primordiale di rappresentazione della realtà, la tragedia più amata non può che essere quella del mostro per antonomasia, il duca di Gloucester: re Riccardo III di York. Tuttavia, è un Riccardo III inedito quello che si muove incessantemente sul palco, accompagnato dalla musica dal vivo di Tiziano Cannas Aghedu, che esplora il mondo dell’elettronica, riproducendo sonorità graffianti in linea con il personaggio e il testo shakespeariani. Tutto opera in direzione di un coinvolgimento diretto: il pubblico diventa parte integrante della rappresentazione e viene catapultato in un ipotetico Globe Theatre futuristico, riprodotto attraverso un’estetica che si richiama agli anni “80, connotata da elementi post industriali. La musica e l’irresistibile energia dell’attore mattatore, che incita lo spettatore a gridare e a intervenire sulla scena, contribuiscono alla ricostituzione del Teatro nella sua funzione antropologica, rituale e catartica.

Nel riadattamento del testo, Davide Lorenzo Palla e Riccardo Mallus approfondiscono la psicologia di un personaggio letterario controverso, da sempre considerato archetipo di male assoluto, mettendone in discussione proprio la natura diabolica. In particolare la messa in scena si concentra sul rapporto conflittuale con la madre, la duchessa di York – personaggio non presente fisicamente ma ricreato attraverso una traccia audio registrata dall’attrice e doppiatrice Grazia Migneco – e su una possibile infanzia, appena accennata nei testi precedenti, probabilmente oscura e dolorosa. Il lavoro sul testo nasce da un’approfondita lettura della tetralogia in cui è inserita l’opera, all’interno della quale il personaggio di Riccardo, sebbene non protagonista, si affaccia e anticipa il suo ruolo futuro. Il monologo segue la scansione tradizionale in atti, ripercorrendo la sanguinosa vicenda che conclude lo scontro tra le due famiglie plantagenete di Lancaster e York, con il breve regno di Riccardo e l’affermazione della nuova grande dinastia Tudor. Intrighi, tradimenti, empi omicidi e macchinazioni machiavelliche si susseguono nella narrazione del protagonista-presentatore e mostrano l’obiettivo di mantenere rispettosamente le linee fondamentali di un testo immortale, emancipandosi quel tanto che basta per farlo rivivere nel contesto contemporaneo. Al centro di questa rilettura è posto il tema estremamente attuale e complesso della diversità, in questo caso la deformità fisica, corrispondente ad una deformità morale, che allontana Riccardo dal mondo, negandogli normalità e affetto, fin dai suoi primi vagiti, quando anche l’unica creatura che avrebbe dovuto amarlo incondizionatamente lo accoglie come una maledizione. Acquisiscono un rilievo particolare, allora, l’infanzia e l’educazione di Riccardo, che creano una ferita insanabile nell’animo del futuro re, un essere malfatto e immondo, un “ammasso caotico” nato con i denti e destinato a ringhiare. Paradossalmente, però, è proprio la mostruosità la fonte inesauribile del suo fascino, ciò che gli permetterà di conquistare il potere, i sudditi, i lord, Lady Anna e perfino del pubblico, da sempre ammaliato da una personalità straordinaria e raccapricciante.

Ma Riccardo III è soprattutto un grande simulatore, un abile attore costretto ad interpretare il ruolo che la natura e la società gli hanno riservato, quello del malvagio e del demonio, ed è proprio ciò che la messa in scena dello spettacolo tende più a sottolineare. Rimasto solo con i suoi fantasmi e il senso di colpa – che prendono le sembianze di una gigantesca e informe sagoma nera, animata dalla voce della madre – il protagonista non può che andare incontro allo scontro fatale. L’anti eroe per eccellenza diventa, così, parte della storia dell’uomo, rappresentando non più esclusivamente la violenza e il male assoluto: Riccardo è il frutto dell’odio umano, lo specchio di una società crudele, che crea i suoi mostri attraverso la discriminazione. Così, al termine del dramma, nel piano futuristico si consuma una nuova tragedia: al grido di «il mio regno per un cavallo», si solleva una sommossa e, dimenticati i patti di non belligeranza, nasce un nuovo conflitto, accolto con un sorriso dall’attore protagonista che osserva dal palco la scena. Solo il pubblico del presente è, allora, in grado di produrre un cambiamento per il futuro, con la certezza che fino a quando gli uomini non impareranno ad accettare la diversità, Riccardo non morirà mai, sarà sempre lì, davanti alle scuole e agli angoli delle strade, assetato di sangue, di odio e di amore.

Angelica Orsi

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