
UNA STORIA DISEGNATA NELL’ARIA, LO SCHIAFFO DI RITA ALLA MAFIA
A Roma fa caldo, d’estate. Talmente caldo che i gatti si rifiutano di salire sui cofani roventi delle automobili parcheggiate. Il sudore ti si attacca addosso e allora non puoi fare altro che fuggire, alla ricerca di qualche goccia d’acqua o di un po’ di vento che possa darti un po’ di sollievo.
E’ per questo che non c’è nessuno al Tuscolano, in Viale Amelia. Zona Sud Est. Solo un ragazzo che fa cantare la marmitta del motorino, una donna che lava i piatti del pranzo e una ragazza affacciata alla finestra del settimo piano. Indossa un pigiama rosa a righe bianche. Di seta, fresco, un regalo di sua cognata Piera. La ragazza, però, è perfettamente truccata e profumata, come se dovesse uscire. Vuole farsi trovare bella, quando verranno a recuperare il suo corpo, dopo che si sarà lanciata dal settimo piano.
Inizia così, raccontando nel dettaglio gli ultimi istanti di vita della (nemmeno) diciottenne Rita Atria, Una storia disegnata nell’aria, spettacolo scritto da Guido Castiglia (in collaborazione con Piera Aiello), in scena nel nuovissimo Teatro del Buratto in Maciachini.
Ma chi è stata Rita Atria? Una giovane testimone di giustizia italiana (termine da non confondersi con “collaboratrice”, visto che Rita non si è mai macchiata di reati) impegnata al fianco del giudice Paolo Borsellino, a cui aveva rivelato i dettagli delle dinamiche mafiose dei clan di Partanna, nel trapanese. Li conosceva perfettamente poiché sia il padre che il fratello Nicola ne avevano fatto parte, prima di rimanere uccisi per mano dello stesso uomo, a distanza di qualche anno l’uno dell’altro. Era stata inserita in un programma di protezione, insieme alla cognata Piera, moglie di suo fratello, e le era stato fatto conoscere Borsellino, che diventerà per lei un secondo padre. In seguito alla strage di Via D’Amelio, in cui aveva perso la vita il grande magistrato palermitano, era stata separata da Piera ed era stata appena trasferita nell’appartamento al Tuscolano, quando ha preso la decisione di suicidarsi.
Castiglia ci racconta tutto questo, e molto di più, nel corso di un’ora abbondante di spettacolo, ma lo fa senza indugiare troppo sui dettagli cronachistici. Il suo racconto di Rita, che oggi in molti ritengono un’eroina, è un’esplosione di sensazioni, rumori, odori, pensieri. Ci sembra di sentire davvero quel caldo appiccicoso mentre Rita si affaccia alla finestra e si lascia cadere. Un volo di poco più di due secondi, ma sono due secondi che nello spettacolo diventano venti minuti, durante i quali Castiglia prova a ricostruire gli ultimi pensieri della ragazza, mentre il suo corpo scivola giù, piano dopo piano, in quell’incredibile dilatazione del tempo che è propria degli istanti che precedono la morte. Rivediamo allora l’uccisione del padre, il desiderio di vendetta del fratello e il suo successivo omicidio, avvenuto nel locale che gestiva, sotto gli occhi della moglie Piera. La vediamo bambina tra le braccia del padre, mentre il suo corpo passa dal sesto al quinto piano e poco dopo adolescente impaurita, un piano più sotto. Sentiamo il clima omertoso del suo paese, vediamo le strade deserte, la gente che spia dalle finestre e che non ha mai nulla da dire su quello che accade in quei luoghi.
Tralascia volutamente qualche particolare, Castiglia, come la ferocia mafiosa della madre di Rita, Giovanna Cannova, che arriverà a ripudiarla e a prendere a martellate la sua lapide, sulla quale c’era scritto “La verità vive”. Particolari forse troppo crudi, per uno spettacolo pensato prevalentemente per le scuole, e forse fuorvianti rispetto al racconto in sé, che Castiglia conduce con evidente partecipazione emotiva, immergendo la narrazione all’interno di un’affascinante scenografia onirica e concreta al tempo stesso, costituita da quattro pannelli a vela che l’attore apre e chiude a seconda della necessità, fino alla chiusura, durante la quale le parole dell’attore vengono sovrastate dalle note del Magnificat cantato da Mina, che aggiunge ulteriori brividi alle già tante emozioni regalate dal racconto.
Uno spettacolo necessario, da vedere e da far vedere, soprattutto ai giovanissimi.
Abbiamo fatto due chiacchiere con l’autore Guido Castiglia per farci raccontare qualcosa di più:
Sig. Castiglia, come è nata l’idea dello spettacolo e quali sono stati i primi contatti con Piera Aiello?
Ho partecipato alla creazione di un presidio dell’Associazione Libera, a Pinerolo. Quando si è trattato di scegliere quale nome dare al presidio, è venuto spontaneo pensare a Rita, poiché, da sempre, mi occupo di teatro rivolto all’adolescenza e dunque ricordare un’adolescente impegnata nella lotta alla mafia, con una storia così importante da raccontare, è sembrato naturale. Proprio in quel periodo stavo iniziando a ragionare su una nuova produzione, così il responsabile del presidio mi ha passato il libro Maledetta mafia, scritto da Piera Aiello. Successivamente, grazie all’intermediazione di Libera Piemonte, sono riuscito a contattare l’autrice, che si è immediatamente resa disponibile ad una collaborazione. Inizialmente un semplice scambio di mail, durante il quale inviavo a Piera il materiale prodotto e lei correggeva nei minimi particolari gli errori presenti. In seguito ho potuto incontrarla dal vivo, nonostante il regime di protezione a cui è sottoposta. E’ capitato in occasione dell’inaugurazione della biblioteca dedicata a Rita. E da lì in poi la collaborazione è sfociata in una bella amicizia. Le sue informazioni sono state preziosissime per l’elaborazione del testo, soprattutto per quanto riguarda la sfera emotiva.
Il suo spettacolo viene spesso rappresentato per gli studenti delle scuole secondarie. Com’è la loro reazione al suo racconto e, in generale, che percezione hanno della mafia gli adolescenti d’oggi?
La prima sensazione è stata di grande stupore. Proveniendo dal teatro comico, conosco bene le potenziali reazioni del pubblico ad una battuta, ad un tempo comico. Ma qui era tutto diverso. Stavo per raccontare una tragedia, l’elemento comico poteva costituire solo un semplice aggancio, in alcuni momenti, per catturare il pubblico, ma nulla di più. Non sapevo assolutamente come avrebbero reagito. E quello che è successo è che i ragazzi sono rimasti inchiodati alla poltrona, senza fare il minimo rumore per tutta la durata del racconto. E alla fine c’era grande emozione, grande partecipazione, perfino lacrime, in alcuni di loro. Nel dibattito successivo si informavano, sentivano l’esigenza di approfondire. In generale mi è parso di intuire che questi ragazzi sentano di poter far loro l’insegnamento di Rita (che poi fu lo stesso di Chinnici, il quale ci diceva che occorre la creazione di una coscienza civile), ovvero che la mafia si può combattere non solo attraverso le forze dell’ordine e la giustizia, ma partendo da noi stessi, combattendo anzitutto la mafia che è dentro di noi e poi quella celata nei piccoli gesti e nelle persone più vicine a noi, fino ad allargare sempre più il cerchio. A favore di tutti loro e dei loro insegnanti, ho messo a disposizione una dispensa di lavoro, condividendo il materiale elaborato nel corso della creazione dello spettacolo (per chi fosse interessato, la dispensa è disponibile a questo indirizzo: http://www.nonsoloteatro.com/spettacolo/una-storia-disegnata-nellaria/ )
Oggi si parla molto meno di mafia, forse perché le azioni di Cosa Nostra sono diventate meno eclatanti rispetto a venticinque anni fa. Ritiene che il pericolo mafioso sia realmente superato oppure pensa che la mafia abbia semplicemente mutato pelle?
La mafia delle stragi e delle uccisioni barbare è quasi sconfitta, certamente, ma è questa è solo una trasformazione. Arrivo a dire che la mafia è più presente adesso rispetto ad allora. Il problema è che non la vedi, perché si nasconde nei colletti bianchi che si infiltrano nella politica, nell’imprenditoria di alto livello, sempre operando in una zona borderline tra il legale e l’illegale. Questo camaleontismo, che ci sembra meno barbaro, in realtà modifica profondamente la nostra percezione civica perché ci fa perdere il senso del lecito. Pensiamo ad esempio ai casi di “omertà nel quotidiano”, che si moltiplicano esponenzialmente, ad esempio in un padre che nega le cattive azioni del figlio o che addirittura gli suggerisce di non parlare di ciò che potrebbe danneggiarlo. Questa è la base stessa della mafia.
Dopo questo lavoro a quali progetti si dedicherà?
Sto ultimando la stesura di un testo che dovrebbe debuttare il prossimo autunno. Il tema è sempre strettamente connesso all’adolescenza. Proverò infatti a raccontare il fenomeno dei ragazzi inghiottiti dalla realtà virtuale. Il testo sarà molto divertente, nonostante il grave pericolo rappresentato dall’esplosione di questo fenomeno, che produce un nuovo tipo di realtà (quella virtuale, appunto) che si interpone tra le due realtà tradizionali, quella mentale e quella fisica, arrivando ad isolare quest’ultima. La loro realtà è diventata quella di Internet e sono talmente calati dentro questo mondo da aver ormai perso la capacità di riconoscere le emozioni nella vita reale. Pensiamo ai crimini commessi da alcuni adolescenti, realizzati come se fossero un gioco, o ancora al fenomeno degli “hikikomori”, giovani che hanno del tutto rinunciato alla realtà esterna e vivono letteralmente chiusi dentro le loro case, nel mondo di Internet che diventa, in tutto e per tutto, il loro unico mondo. E’ necessario capire che questo è un loro modo per chiedere aiuto.
Massimiliano Coralli
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