Recensione: “Scarabocchi”

scarabocchi

Si sa, gli “Scarabocchi” di maicol&mirco sono delle vignette umoristiche, tutte di un’unica tavola e autoconclusive. Queste ritraggono generalmente uno o due personaggi scarabocchiati, proprio per ricondurli ad una corrente minimalista e universalizzante, che hanno conversazioni legate fra loro da un unico grande tema: il nichilismo. Sprezzanti della morte e ancor più della vita, i personaggi delle vignette degli Scarabocchi sono privi di ottimismo, cinici e rassegnati a un destino senza felicità, in attesa di una fine che tarda ad arrivare.

Ma lo stesso maicol&mirco ha intuito che, qualora avesse voluto dare una portata di più ampio respiro alle sue strip, avrebbe dovuto introdurre un, seppur essenziale, accenno di trama. E così ha fatto ne “Il papà di dio”, dove l’impostazione vignettistica è stata mantenuta in piedi grazie ad un filo rosso che univa, contornava e cuciva assieme le singole battute grazie ad una vicenda che aveva un inizio, uno svolgimento e una fine. Lungi da noi insinuare che una trama lineare sia sempre necessaria, basti pensare al teatro dell’assurdo: in “Aspettando Godot” effettivamente non accade nulla, eppure tutti i dialoghi dei personaggi sono comunque connessi da una determinata logica.

Tuttavia, in “Scarabocchi”, trasposizione teatrale di Andrea Fazzini, messa in scena dalla compagnia Teatro Rebis presso il Teatro della Contraddizione fino al 25 marzo, il regista e gli attori hanno pressoché riportato l’ideologia di fondo di maicol&mirco, senza svilupparla ulteriormente, ma più che altro riprendendo le citazioni delle vignette, legandole talvolta insieme con delle riflessioni un po’ fini a se stesse. La tematica generale è stata molto palese: il mondo fa schifo, la vita fa schifo e ci ribelliamo a lei continuando a vivere su questo schifo di pianeta, però a tratti si è sentita una carenza di un approfondimento di tipo contenutistico.
Inoltre, non si è capito fino in fondo il senso del pezzo posto dopo il falso finale, quando su di un cubo è salito un cabarettista in disgrazia, anch’egli pessimista e alcolizzato, che si è lanciato in una serie di battute forse non troppo contestualizzate.

Funzionali la scenografia e le luci. La prima fortemente minimalista, ma nel suo essere semplice poteva essere più pensata nella disposizione degli oggetti in scena. Per quanto riguarda la seconda, si sarebbe gradito un maggior gioco di luci e ombre, che probabilmente in una tipologia di rappresentazione di stampo pessimista avrebbe aiutato a rendere maggiormente un’atmosfera d’incombenza e di negatività. Più simpatica la scelta musicale, fortemente in contrasto con il tono generale nichilista.

Si fa una nota positiva per la recitazione di Meri Bracalente e Fernando Micucci, che hanno saputo mantenere una buona intensità durante l’intera performance, dando un’idea dell’obiettivo a cui puntava la drammaturgia.
Detto ciò, spiace notare che la trasposizione non è particolarmente felice, si sarebbe preferito che l’ideologia degli Scarabocchi fosse stata reinterpretata maggiormente, aggiungendoci qualcosa di più personale e più adatto alla diversa tipologia di medium.

Jasmine Turani

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