Recensione: “Ogni bellissima cosa”

bellissima

Come può un bambino accettare il pensiero della morte e, ancora più, l’idea del suicidio? Quanto influisce l’educazione famigliare nella vita di una persona? Attraverso una lunghissima lista di cose per cui valga la pena vivere, il protagonista racconta la propria vita, il rapporto problematico con la madre depressa e le difficoltà di crescere con un pensiero assillante: “Sono io la causa dei problemi?”

Il pluripremiato spettacolo del giovane drammaturgo inglese Duncan Macmillan e dallo stand-up comedian Johnny Donahoe, “Every brilliant thing”, arriva anche in Italia, grazie alla traduzione e alla regia di Monica Nappo, con il titolo di “Ogni bellissima cosa”, in scena al Teatro Elfo Puccini dal 26 febbraio al 3 marzo. Il testo originale, nato nel 2013, ha riscosso in questi anni un ampio e indiscusso successo, trasformandosi molto presto in un classico contemporaneo. La sua particolarità consiste nella dichiarata possibilità di adattarsi alle più diverse rivisitazioni, che variano in base alla lingua, al contesto culturale, alla sensibilità del regista e dell’attore. Monica Nappo, dal canto suo, compie una scelta tradizionalista, conservando il protagonista maschile in scena ma caratterizzandolo attraverso dialettismi e tratti caratteriali, piccoli tic, ossessioni e nevosi.

Una volta entrato in sala ogni spettatore può decidere di pescare da un’ampolla trasparente un bigliettino di carta contrassegnato da un numero, al cui interno è riportato un oggetto, una frase, un colore, un personaggio famoso, insomma, qualunque elemento della realtà umana. È questo il primo passo di un’interazione estremamente dinamica, stabilita dall’attore con il pubblico, che diventa parte attiva dello spettacolo, colmando l’assenza degli altri personaggi e ritagliandosi un piccolo spazio nella rappresentazione. La visione passiva si trasforma così in un gioco, le cui regole vengono illustrate chiaramente fin dal principio: quando il protagonista pronuncerà il numero riportato su ogni bigliettino, chi ne è in possesso dovrà leggere ciò che viene riportato all’interno. Le parole lette ad alta voce dagli spettatori sembrano non avere significato, prese singolarmente; esse, però, rappresentano l’unico strumento di difesa di un bambino di sette anni, che si scontra con una realtà crudele e inaccettabile: sua madre non vuole più vivere. Allora, il giovane protagonista reagisce a suo modo, ingenuamente, stilando un elenco di cose bellissime per cui valga la pena continuare a vivere: il gelato, gli oggetti con le strisce, la gente che cade, tutto ciò che può amare un essere innocente come un bambino. Carlo De Ruggieri, nei panni del protagonista, delinea un iter psicologico che inizia dall’infanzia per arrivare all’età adulta ed è scandito proprio dalla lista: essa inizialmente contiene pochi elementi ed è donata alla madre, come candido tentativo di mostrarle l’assurdità del suo gesto; nel corso del tempo, poi, questa viene interrotta e ripresa più volte nei momenti più critici della sua vita. Dalla morte del cane Narcolessi, all’incontro con il primo grande amore, il matrimonio e la separazione, per poi giungere al punto estremo, l’ultimo e fatale tentativo di suicidio della madre: lo spettatore percorre insieme al personaggio i momenti più luminosi e quelli più oscuri della sua vita, ridendo e piangendo, proprio come accade nella realtà, senza mai il rischio che lo spettacolo ceda al patetismo o alla banalizzazione. L’argomento del suicidio, infatti, viene trattato con molta serietà – anche attraverso l’introduzione di dati statistici e di studi specialistici sui disturbi psichiatrici – ma, nel contempo, la rappresentazione non cessa mai di intrattenere con leggerezza e di far sorridere lo spettatore, anche grazie ad una recitazione brillante e un rapporto quasi confidenziale con il pubblico.

Il teatro diventa allora uno strumento terapeutico, che necessita di poco o nulla e contemporaneamente risulta perfettamente funzionale a comunicare un messaggio importante di speranza, semplice e diretto, trasmesso con le risate, i tocchi di commozione e le improvvisazioni degli spettatori, ogni sera diversi. Chiunque si trovi ad ascoltare il lunghissimo elenco di “Ogni bellissima cosa” non può resistere alla tentazione di redigere a mente una piccola lista personale, di aggiungere dei punti o modificarne altri, a dimostrazione del fatto che siano proprio le cose più semplici a dare un senso alla vita, come, appunto, un promemoria di tutto ciò che al mondo è meraviglioso, un atto banale, che, tuttavia, rivela l’istinto vitale dell’uomo, incapace di arrendersi davanti alle difficoltà e per natura teso a cercare sempre il bello dell’esistenza.

Angelica Orsi

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