Recensione: “Maria Sotterrata”

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Quando la tragedia diventa occasione di possibile riscatto individuale. Ecco una possibile sintesi dello spettacolo “Maria Sotterrata”, in scena fino sabato 17 febbraio presso l’ormai storico Teatro Libero di via Savona 10 a Milano.

La produzione della compagnia Chronos3 si prefigge un grande obiettivo cercando di raccontare la difficile esperienza nata dal terremoto del 1976 che ha sconvolto la regione Friuli con 990 morti e 45.000 senza tetto. La scossa di magnitudo 6.5 ha coinvolto tutto il territorio del nord Italia e parte della Jugoslavia, causando ingenti danni agli edifici e demolendo parte della storia architettonica del territorio friulano.

La vicenda sulla quale hanno deciso di concentrarsi nasce da una lunga ricerca sul territorio attraverso interviste e studio delle tradizioni. Si concentra sull’esperienza della giovane ragazza di Gemona Maria Fantin che, alla fine delle violente scosse, rimane imprigionata sotto le macerie, costretta all’attesa e alla solitudine. In questo purgatorio dilatato nel tempo i pensieri si perdono tra i ricordi, i rimpianti e le speranze. Maria si rivede bambina, quando era grintosa come una leonessa. Poi L’adolescenza, le prime delusioni e il primo amore.

Non è sola in questo viaggio. Bloccata insieme a lei, nella terra, c’è anche la Morte intenta ad osservarla ed a tentare di raggiungerla. L’attrice Valeria Sara Costantin, interpreta ottimamente entrambi i personaggi passando con destrezza da uno all’altro. Attraversa il serio ed il faceto. Sa cogliere le sfumature più delicate della personalità di Maria.

L’escamotage narrativo di Davide lo Schiavo sceglie di lasciare il terremoto in secondo piano, quasi fosse tutto attorno alla protagonista e allo stesso tempo al pubblico. Così anche nella regia di Valentina Malcotti in cui il tremore resta nell’aria, in un suono, nella polvere, come un presagio minaccioso. È potente invece nella scenografia di Antonella De Lorio, Verdiana Moretti e Debora Riva, e nei costumi sempre di Antonella De Lorio. Il richiamo evocativo è forte ed efficace, molto ben calibrato.

Dalla storia di Maria Fantin ci lasciamo coccolare, ci affezioniamo. Così come dalla morte rappresentata in modo farsesco e decisamente comico. Passiamo quindi continuamente su due registri differenti: dalla delicatezza del luogo interiore di Maria alla scoppiettante figura della morte.
Qui nasce il dubbio su di uno spettacolo con grandi spunti e idee brillanti che però sembrano perdersi in una indecisione che tende a mettere tutto ed a scegliere poco.

A volte la paura di non riuscire a comunicare un tema così delicato e profondo porta a trovare degli alleggerimenti che in questo caso portano ad una frattura narrativa. Infatti la forte impronta comica della morte tende ad appiattire più che ad alleggerire. La storia di Maria diventa un bellissimo esercizio di stile dell’attrice che riesce a sostenere uno spettacolo non facile. Ma il resto si perde via. Si perde il terremoto, si perde la profondità delle emozioni che la stessa messa in scena riesce a donarci. Così come il tema della morte che perde di efficacia e di significato senza una vera evoluzione.

I novanta minuti passano in un soffio e ci sono tutti gli ingredienti per una intensa e divertente serata. Manca solo un pò di coraggio in più nel portarci a fondo di una vicenda così drammatica.

Michele Ciardulli

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