
THE POWER OF LIFE O L’UOMO SEME
L’onda è la forma essenziale di creazione esistente in natura.
Se immaginiamo un percorso ideale che porta dal vuoto totale, fino alla solida materia, l’onda è ciò che esiste ancor prima che le particelle si sovrappongano. Subito dopo c’è la materia.
Proprietà impreteribile delle onde è il ciclo, quel segmento di tempo nel quale ciascuna onda descrive un percorso destinato a ripetersi in forma simile alla precedente.
Il ciclo è proprietà generatrice, regola la vita, la scandisce.
L’uomo seme, racconto di scena ideato, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco, è un inno alla vita e alla sua componente più teorizzata: l’uomo.
Tratto dall’omonimo memoriale di Violette Ailhaud, L’uomo seme della Bergamasco, in scena al Triennale Teatro dell’Arte fino a domenica 21 gennaio, ripropone un pianto di accusa alla prepotenza del potere e un’ode alla energia vitale di cui le donne sono rappresentazione quantitativa.
Quella raccontata è una storia di donne sopravvissute a un abuso di potere tale da relegarle a una unificazione di genere. L’antefatto è storico: nel dicembre del 1851 Napoleone III sferrò il suo colpo di stato abolendo la Costituzione e assumendo pieni poteri. La Francia, blanda nella sua memoria rivoluzionaria, non insorse. Solo una piccola componente repubblicana, residente in Provenza, decise di opporsi. “Inebriati dall’entusiasmo della sollevazione totale da essi sognata, credevano che la Francia li seguisse [..] mentre il resto del Paese sopraffatto dal terrore, li lasciava vilmente incatenare.” (Zola).
Mietuti via come il grano, gli uomini di Saule-Mort, paese dove il racconto è ambientato, divengono mancanza per le donne rimaste sole.
L’uomo seme è la storia di una assenza e della sua sublimazione in presenza. Lontano vi è il desiderio e vicino la sua mancanza. Una mancanza, quella del maschile, che come l’onda compie il suo percorso fino a tramutarsi in forza ciclica di continuità.
Tutto incede mediante il suono.
Un suono femminile fatto di fonemi e lingua scarna, di canti di comunità, preghiera e consolazione magistralmente interpretati da le Faraualla, quartetto vocale pugliese.
Un suono maschile fatto di battiti e lavoro di cui Rodolfo Rossi è esecutore sapiente e talvolta distonico.
Il lavoro della Bergamasco è la riproposizione di un mito sonoro come le fiabe ma con una potenza singolare: la comunicazione trapela attraverso la forza sinestetica del tatto. Saule-Mort ha le sembianze di una mano vista di profilo. Al suo interno, il desiderio è palpabile, gli atteggiamenti ruvidi, gli umori pesanti. L’uomo seme è un maniscalco, le regole della trasmissione del genere poggiano su patto di contatto.
In scena vi è un mondo arcaico il cui emblema scenografico estremamente calzante è un albero. Spoglio ma vitale, quest’ultimo è luogo privilegiato intorno cui si realizza lo scioglimento della contrapposizione tra maschile e femminile. Alle radici dell’albero è affidato un racconto in musica che riproduce andamenti corporali tali da generare una riappacificazione fra natura e uomo e fra uomo e donna.
Lungi dalle bigotte quanto inoperose rivendicazioni del woman power che fanno borioso capolino sulle t-shirt del 70% dei brand contemporanei, L’uomo seme è monito e rivalutazione dell’atavica e originaria essenzialità dei generi. Ciascun riferimento al femminile rinsalda il suo legame col maschile. Le donne hanno il linguaggio, l’uomo l’azione (seme).
Alessandra Cutillo
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