Recensione: “Fame mia”

fame mia

Ci sono tre diverse tipologie di fame: la fame di cibo, la fame di tutto e la fame di niente. Le ultime due sono la stessa cosa, le due estremità di una stessa corda.

Quando la fame di cibo è alimentata da condizionamenti sociali, culturali e di genere cessa immediatamente di riguardare gli alimenti i quali, alchimisticamente, assorbono ingredienti quali giudizio, egoicità, malinteso, etichetta, angoscia, riempimento (o svuotamento). Tutto o niente, vale lo stesso. Occorre solo stabilire le armi con cui combattere e realizzare sul proprio corpo la crociata del ritrovamento del se’. Una crociata degna della chiesa monoteista che tutto muove in ragione di un dio che non potrà mai mostrarsi, semplicemente perché al bivio in cui si è scelta, sancita e intrapresa la strada del combattere, questo dio ha deciso di farsi trasparente come segno di protesta. Ha deciso di abbandonare il campo per rivoltarsi contro una richiesta di manifestazione del se’ che è violenta e che ferisce la propria essenza.

Ogni corpo ha il proprio dio (chiamiamola coscienza se ci sentiamo più tranquilli) e una propria fame, dove la fame è il modo che il corpo usa per manifestare il suo dio-coscienza.

“Fame mia”, monologo di Annagaia Marchioro e Gabriele Scotti, liberamente ispirato a “Biografia della fame” di Amélie Nothomb, con la regia di Serena Sinigaglia, in scena a MTM Teatro Leonardo fino a domenica 11 novembre 2018, racconta in chiave decisamente più esilarante le diatribe fra cibo, individuo e società che condiscono la vita di una donna che ha sempre fame, fame di cibo, fame di tutto e fame di niente.

Annagaia Marchioro troneggia sul palco con una possenza che resta aumentata sempre, anche nei frame discendenti di una storia fatta di contrari estremi. La scena è piena grazie alla sua presenza, poco aggiungono gli ornamenti materiali che la contornano non avvolgendola.

Grandiosa è la capacità di far vivere in scena, tramite il solo ausilio della voce, figure e personaggi stereotipati e divergenti delineati con minuzia e ammennicoli così divertenti in quanto veri.

La fame sul palco passa attraverso accezioni e rimandi, riferimenti e ritrovamenti di un sentore comune che ha invaso la percezione di chiunque calpesti il suolo del nostro Paese. Dopo il passaggio dal tutto scorre al tutto corre, il cibo è argomento dei padri, delle madri, delle figlie, delle storiche nonne, delle suore, della tv, della radio, dei giornali, chiamiamola stampa. Il cibo è nell’aire, è il nuovo perno pure della new age. Cibo è la risposta giusta anche per la sfinge. E’ il fardello di riflessione dei vegani di sesto livello che stanno valutando se sia etico o meno ingerire un cibo che proietti un’ombra se colpito da un raggio di sole in lontananza.
God save an happy meal. Per pura sopravvivenza e per pietà.

Alessandra Cutillo

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