Parla(menta)re stanca in Europe

mad in europe

Tutto può essere detto a proposito di tutto. Mad in Europe, diretto e interpretato da Angela Dimatté, vincitole del Premio Scenario 2015 e in scena al Teatro verdi fino al 20 maggio, veut nous says todo diese.
Se la lingua tutto può, è l’uomo a non poter tutto:la capacità performativa dell’essere umano incontra dei limiti. Questa finitudine è attributo della vita, essa non intacca la lingua che impervia non conosce barriere concettuali e proiettive.
Tradotto in parole, il pensiero può risultare il sovvertimento di tempo e identità. È il concetto alla base della traduzione, fucina di incertezza estrema. Il linguaggio modifica le regole dell’ordine naturale, può mutare il verde in un unico rosso, come sostengono Macbeth e la sua onta assassina. Il linguaggio può trasformarsi in idioletto, ridefinire le definizioni divenendo un messaggio irripetibile che non può riproporsi, di cui non esiste una traduzione ragionata. È qui che si registra omeostasi fra forma e contenuto, qui il significato dell’enunciato sarà capito solo dall’emittente. Questo lo priva certamente di un’integrità sociale e utilitaria, ma mai di una integrità comunicativa.

Quest’ultima è tutelata da una matrice primordiale universale che anela nel cuore della grande Babilonia. E in scena, infatti, si assiste al miracolo del post Babele. Fallito il tentativo della comunità (che sia europea è solo questione di epoca), il delirio post capitalista di una donna di buon senso, o Mad che dir si voglia, può indurre solo alla integrazione fra idiomi e non alla sterile convivenza. Sia forse un poemetto didascalico da impartire al tanto educato Parlamento europeo?
Angela Dimatté, in modo convincente e dissacrante, con picchi esilaranti, intesse universi incerti di due donne distanti ma analoghe che si interfacciano simbolicamente con cittadini europei di una simbolica Europa. Una parlamentare impazzita e una donna non proprio savia si rivolgono a una religiosa, o meglio sacra, o forse spirituale figura femminile. L’una preferirebbe non parlare, preferirebbe fosse solo testa, l’altra si incarta in rettifiche e ricerche di consensi.
Ma tolti i flussi di coscienza fatti di globalizzazione, epurata la riflessione da ricadute uterine, come comprendere l’attuale follia europea?

Alessandra Cutillo

Be the first to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*