Old times: vecchi tempi, nuove domande

Al teatro Out Off il regista Michael Rodgers sceglie di portare in scena Old times (1970) di Harold Pinter, premio Nobel per la letteratura nel 2005, fondamentale figura di riferimento per il teatro contemporaneo.

Il testo di Pinter, apparentemente semplice, rinuncia alla linearità dell’intreccio dando molto peso alla sospensione.
In scena troviamo un piccolo dramma borghese, consumato in una serata fuori città: a casa di Kate e Deeley (Christine Reinhold e Salvatore Palombi) irrompe dal passato Anna (Lisa Vampa), unica amica dell’impenetrabile Kate. Anna, vanitosa figura multicolore, è in netto contrasto con la semplice e taciturna Kate; potrebbero essere le due facce della stessa medaglia, o anche il notorio esempio di opposti che si attragono. Deeley si muove fra insicurezza e presunzione, fra amore e bassezze, proprio come se oscillasse da un antipodo all’altro, o da una donna all’altra.

Nella traduzione forse si viene un po’ a perdere l’umorismo british che marca il testo di Pinter; tuttavia cifra dominante rimane la freddezza della situazione, scaldata – ma non troppo – dalle musiche di Umiliani. Sono particolarmente interessanti i costumi, veramente funzionali alla connotazione dei personaggi, evidentemente scelti da occhi esperti e puntuali.

La scenografia è compatta e statica, l’uso delle luci minimale e pulito. I personaggi, in aperto dialogo con il Vecchi-Tempi-TeatroOutOff-2016pubblico, paiono figure scollate, atomizzate nei movimenti glaciali che compiono nel perimetro dello spazio scenico, dal quale sembrano non poter uscire. Il vertice del triangolo è Kate, indolente sognatrice, calma nelle pose, animatrice della tensione che si accenderà fra il marito e la vecchia amica.
Le ragioni che muovono le fila del testo sono poco chiare, lo spettacolo sembra mancare di un vero baricentro e la rigida ambiguità delle parti infittisce nello spettatore il garbuglio di domande. Il testo di Pinter è eccezionalmente denso, contratto in monologhi che verrebbe da definire irrespirabili, intervallati da pause forti. In questo modo il non-detto si affaccia sulla scena seminando dubbio e incertezza.
La presenza di Anna potrebbe rappresentare una rievocazione del passato che la contempla solo in quanto pretesto per una confessione. Rodgers, fedele a Pinter, lascia le porte aperte, scegliendo il vuoto dell’irrisolto.

C’è da dire che una punta di ironia non guasterebbe, favorirebbe anzi un’immedesimazione più forte del pubblico che ama empatizzare con gli attori e i loro personaggi.
La sala quasi gremita alla prima nazionale mostra una Milano aperta a drammaturgie ermetiche, ad autori stranieri di notevole importanza. Suggerisce che Milano è attenta ad accogliere registi stranieri e giovani, una Milano presente, curiosa, e noi con lei.

Arianna Lomolino

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