Eugenio Allegri è l’Edipus di Giovanni Testori, diretto da Leo Muscato sul palco dei Filodrammatici.
Due sono i piani della scena: un dietro le quinte avvolto da una leggera tenda di cielo, e il palco, quello su cui “l’attor vegio” rimane solo, con l’ambiguità della tragedia.
Irriverente la riscrittura testoriana che snatura il classico, lo attualizza conservandone la nobiltà, lasciandolo liberamente rivivere in un magma tutto moderno.
Non solo indaga le radici delle pulsioni le platealizza, con feroce sarcasmo – delicato strumento per pizzicare con critica stringente, tanto raffinata quanto brutale.
Arduo e umorale il linguaggio, sanguigno nelle tonalità fantasiose, nei registri cangianti, l’arguzia inventiva riabilita la parola incesellata in movenze precise, che fanno dell’attore – capocomico un fiero Laio, un'(in)credibile Giocasta, e un disperato Edipo, ma anche una Sfinge postmoderna con occhiali da sole, sigaro e parlata guercia.
Allegri assume su di sè la totalità di questa tragedia, con la fantasia coscienziosa del teatrante, come un direttore d’orchestra svela con fare ironico e sbrigativo la finzione, che si innesta nella – a sua volta – fittizia sgualcita realtà degli scarrozzati.
La ragia è robusta, non ha bisogno di orpelli, ben pondera le musiche e dichiara di divertirsi tanto con le luci, quanto con la gestione di una scena poco convenzionale.
Allegri recita, con emozione ammiccante, soprattutto con riconoscenza un testo che svela la natura inestinguibile del classico, fragile bensì implacabile materia viva.
Arianna Lomolino
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