« Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia… » Queste parole del celebre romanzo di Vladimir Nabokov riecheggiano nello spettacolo “Lolita (non ora non qui)”, in scena presso il Teatro Libero dal 12 al 24 febbraio.
Nelle note di regia viene però fornita una preziosa precisazione: “Più che il testo in sé ci interessa il nostro rapporto con quel testo, come risuona nel contemporaneo. Se mi metto di fronte a Lolita cosa vedo? Questa è la domanda.” L’autore del testo Marcello Gori e il regista Paolo Giorgio rispondono a questa suggestione raccontandoci la storia di Carlo, professore universitario di letteratura comparata, travolto da un’insana passione per la bella matricola Valentina. Carlo desidera ardentemente rivivere con Valentina le gesta del suo eroe letterario, il quarantenne insegnante Humbert infatuato della figliastra, la seducente e giovanissima Dolores, da lui chiamata Lolita. Colpito da una sorta di sindrome di Stendhal per il romanzo di Nabokov, a un certo punto Carlo non riesce più a distinguere tra realtà e sogno, mentre Valentina diventa vittima e carnefice allo stesso tempo del suo aguzzino che la ama follemente.
Alla deriva sadomaso e violenta che assume la relazione nel romanzo si aggiunge un’ulteriore tragedia, legata al mancato riconoscimento delle vere identità: Valentina non è Lolita come desidera invece l’amante e non vuole che Carlo sia Humbert. Alle aspettative deluse di entrambi seguono i litigi furibondi, le offese e le cattiverie reciproche che sfociano nell’ultimo, atto estremo della messinscena che i due stanno recitando.
I due attori, Veronica Franzosi ed Emanuele Arrigazzi, accompagnano con maestria il pubblico nel loro folle viaggio senza meta, dispersi in motel di provincia e soprattutto smarriti nelle profondità delle loro anime. Sono tanti gli stati emotivi indagati durante la loro storia, dalla gioia e spensieratezza alla rabbia cieca e disperata, emozioni intense ma spezzate come lo sono ormai le loro vite. La frammentarietà e la complessità del loro rapporto è resa anche attraverso l’uso sapiente di voci off, di musiche rap e di video proiettati su quel letto ribaltato simile alla vela di una nave che fa da sfondo al ring che si visualizza metaforicamente sul palco durante l’ultimo quadro (il consulente scenografico è Stefano Zullo). L’andamento dello spettacolo per flashback e improvvise rivelazioni, in cui si mescolano i pensieri dei personaggi alle parole e alle immagini del romanzo, restituisce anche stilisticamente l’irruzione del contemporaneo in una storia che è diventata ormai universale e si è radicata nel nostro immaginario a tal punto che le conseguenze si riflettono nella realtà.
Marcello Gori e Paolo Giorgio, membri del Circolo Bergman che si è preposto appunto l’obiettivo di lavorare sulle icone letterarie con un linguaggio moderno, confidano che “quello che ci interessa e ci muove il cuore interessi anche al pubblico; che la nostra emozione sia condivisa; che chi viene a vederci stia al nostro gioco, insomma: e che questo gioco ci dica qualcosa su di noi, qui ed ora.”
Beatrice Marzorati
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