Dennis Puglisi dopo il diploma si trasferisce a Milano e poco dopo viene adottato dal Teatro Franco Parenti di Milano e dalla compagnia di Filippo Timi con cui lavora come assistente alla regia per “SKIANTO” e come attore in “Favola on the Moon” (spettacolo che deve ancora debuttare). Intanto lavora a progetti come “Mistero Buffo e altre storie” Diretto da Massimo Navone e Claudio de Maglio, “Rumori Fuori Scena” diretto da Massimo Chiesa, e, sia come attore che dramaturg (sotto lo pseudonimo di Entoni Ghrian) per “Tutto Fa Brodo” vincitore del E45 Napoli Fringe Festival. A luglio del 2015 studia per 3 mesi al Susan Batson Studio di NY. Le sue passioni sono la cucina, la pittura e la costruzione di maschere in cuoio della commedia dell’arte.
Dennis, ci incontriamo in un importante momento di svolta per la tua carriera artistica, hai ventotto anni, diplomato nel 2012 alla Civica Accademia d’Arte drammatica Nico Pepe di Udine, diretta da Claudio de Maglio e poi approdato a Milano, diretto ora a New York per lavorare con Susa Batson a Brodway. Come ci sei arrivato?
Il mio primo obiettivo era Milano ma in realtà la scelta di Udine si è rivelata quella adatta a me; come accademia è abbastanza isolata, il lavoro era intensivo e mai dispersivo, per la mia formazione è stato un momento nodale, sia per gli incontri che per il contesto eclettico.
Una volta diplomato ho fatto un provno con Timi al Parenti finalmente qui a Milano, mi prese per il sequel di Favola, il progetto è rimasto temporaneamente nel limbo, ma il Franco Parenti rimane la mia casa teatro a Milano. Nel frattempo ho avuto occasione di lavorare con diversi altri registi e pedagoghi come Maurizio Schmidt, Massimo Navone, Arturo Cirillo, Marco Sgrosso, Maryl Van Den Broeke, Francois Kahn, Carlo Boso, Pierre Byland e Julie Stanzak.
Alla fine l’anno scorso mi sono deciso a partire, quando si fugge si cerca sempre qualcosa, e sono arrivato a New York l’estate scorsa senza le idee troppo chiare: sapevo che c’erano diverse scuole che potevano interessarmi, per casualità mi sono trovato nello studio di Susan Batson che, fin da subito, mi ha folgorato per metodi e concezione aristica, allo stesso tempo lei è rimasta colpita da me, durante il trimestre del corso questa stima si è consolidata fino al giorno in cui mi ha chiesto di rimanere assolutamente perchè soddisfatta del lavoro fatto insieme.
parliamo a questo proposito della didattica, quali sono gli elementi che caratterizzano questo corso in particolare e in generale l’approccio statunitense alla formazione degli attori teatrali. Quali sono, insomma, gli elementi che fanno la differenza secondo te?
io credo che qui in Italia non si abbia un vero metodo, la scuola italiana, per natura probabilmente, si affida al talento naturale, prima viene il lavoro sui testi e poi l’attore, ma in funzione del testo stesso: viene consegnata una drammaturgia, una volta interiorizzato si passa al lavoro sulla messa in scena e si lavora su questo. Non avevo mai incontato un metodo simile – se non nella teoria di Stanislavskij – basato sul confronto critico e sul lavoro sulla propria personalità nel tentativo di comprendere il personaggio… è indicativo e non casuale che il titolo del libro si Susan Batson si intitoli Truth: non importa perchè questa cosa ti emoziona, importa come trasformi in arte ciò che possiedi già arte attraversando quell’emozione.
In un certo senso questo percorso mi ha aiutato nell’affrontare in maniera più concreta un tema che riguarda da vicino qualunque attore, ovvero quanto la propria vita conti e che spazio abbia sul palcoscenico.
non possiamo però prescindere dalla fattualità del lavoro del teatrante, inevitabilmente la tua faccia e la tua persona entrano nel gioco, qualunque forma esso abbia…
certo, ed è quest’unicità che ha valore! Perchè è un gesto che diventa liberatorio, e, veramente, espressivo. Io penso che il teatro italiano sia vario indubbiamente, ma questa forma o mdalità non credo si trovi. Personalmente mi sono reso conto di quanto il mio vissuto, sul palco ora, abbia un valore nuovo.
quindi tu credi che la scuola italiana sia un po’ troppo conservatrice, poco incline alla sperimentazione proprio se parliamo di metodo…
credo si lavori un po’ per compartimenti stagni, non c’è una vera continuità nella formazione dell’artista. I processi a cui ho potuto partecipare nello studio di Batson sono davvero affascinanti, perchè i cambiamenti erano palpabili. Sembra di vedere sul palco attivarsi quel meccanismo che siamo abituati a vedere nei film secondo il quale crediamo a ciò che vediamo.
da quello che posso capire il lavoro si concentra totalmente sulla persona, sulla sua emotività e sul suo mettersi in gioco sia sul palco che in un ambiente formativo. Da come ne parli sembra evidente tu abbia trovato il tuo posto. Come si è svolta questa permanenza?
sì! per tre mesi ho seguito il suo corso, che si articola attraverso sei esercizi mirati a potenziare la recitazione e capire che tipo di attore sei e se vuoi lavorare con quel metodo, interminabili lezioni notturne con una donna dalla grande consapevolezza artistica e una spiccata sensibilità pedagogica, inserita in un contesto molto aperto, positivo, stimolante. Sembrerà banale, ma solo chiedersi sinceramente perchè vuoi fare l’attore è incredibile!
esiste ancora il sogno americano, quindi… oltre alla formazione degli allievi, poi l’approccio al mondo del lavoro come si articola?
negli ultimi due mesi ci sono state offerte quattro occasioni di incontro con dei casting director menager, registi, tanto da brodway, quanto dlla tv e dal cinema. è lei direttamente a organizzare questi incontri, non sono dei provini ma opportunità per confrontarsi con quel tipo di mercato, capire soprattutto quanto si è pronti…
e con quale piano ora ad aprile tornerai in America?
alla fine di questi sei esercizi lei, a me come agli altri, ha affidato un personaggio su cui lavorare, a me ha dato Salvador Dalì. Con ciò che produrrò lei mi darà la possibilità di debuttare nel suo studio con un monologo.
è il suo modo di insegnare: quando individua qualcuno che abbia la possibilità di percorrere una strada gli dà l’opportunità di entrare con entrambi i piedi in questa realtà, invitando registi, produttori, critici, addetti ai lavori, a cui puoi interessare. Mi ha fatto quindi un contratto che prevede questa mia collaborazione con lei nel suo teatro di Brodway.
Tornerò quindi lì ad aprile in pianta stabile, sul testo sto già lavorando, insieme abbiamo iniziato a pensare alle prime scene e lei curerà la regia dello spettacolo.
e come stai vivendo Dalì?
l’altra mia passione è dipingere, quindi è stato abbastanza naturale, sto conducendo parallelamente lo studio sulla sua vita sia un percorso più emozionale. Ora devo decidere in che punto della vita prenderlo e calarmici, mi piacerebbe tracciare un percorso il più significativo possibile. Ci sono ovviamente molte difficoltà, devo lavorare molto sull’inglese, ho il sostegno delle mie orgini spagnole, essendo mia madre di Madrid. A questo porposito si presenterà anche il problema del nome, lì c’è molta attenzione alle origini, qui in italia ho sempre usato Garcia, ora invece dovrò anche decidere se tornare al cognome di mio padre, Puglisi.
il senso pratico dell’esistenza artistica come ti si figura davanti?
al momento mi sento in un limbo… ma so che sto andando verso qualcosa che sarà determinante per la mia carriera di artista, non solo ho avuto la possibilità di confrontarmi con un metodo diverso, nel quale mi sono facilmente riconosciuto, ma mi è stata anche data l’opportunità di dare una direzione alla mia professione, non so quanto tempo avrei dovuto aspettare in Italia…
Per quanto riguarda il senso pratico dell’esistenza artistica spero di scoprirlo sempre di più, ma ormai certa è la parola d’ordine: emozionarsi.
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