
La compagnia barese Teatro delle Bambole torna a Milano al Teatro Linguaggicreativi con lo spettacolo itinerante, tra i bassifondi dell’anima, Il fiore del mio Genet.
Ma chi sono i ragazzi che compongono questa compagnia? L’ho chiesto direttamente a Andrea Cramarossa…
Ho fondato il Teatro delle Bambole nel 2003, quasi venti anni fa. Sembra tanto tempo; in realtà, è un tempo brevissimo per chi, come noi, fa ricerca in ambito teatrale o artistico. La ricerca che viene affrontata e che si impegna a voler rispondere a determinate domande, segue un meccanismo temporale specifico e ben determinato. Questo significa anche impegnarsi per periodi lunghi intorno ad uno stesso concetto, con conseguente ed evidente non coincidenza coi tempi frenetici attuali ormai posatisi definitivamente nella nostra esistenza. Decisi a suo tempo di fondare questo gruppo di ricerca perché, per me, era diventato difficile continuare a vivere l’arte teatrale così come l’avevo vissuta fino ad allora e dopo le personali esperienze all’interno del “Metodo Funzionale della Voce di Gisela Rohmert” e “Il Teatro delle Orge e dei Misteri” di Hermann Nitsch. Sostanzialmente, per me, risultò sempre più complicato adeguarmi ad una visione altra, pur rispettandola, in evidente contrasto con i sentimenti artistici che muovevano in me in altre direzioni.
Federico, ti conosco da un po’ di anni, ad un certo punto della tua carriera a Milano decidi di trasferirti a Bari. Quali le difficoltà e quali i vantaggi nel fare arte nel Sud dell’Italia?
(Federico Gobbi) Sono sceso a Bari con un grande di entusiasmo.
Avevo da poco scoperto il prezioso lavoro artistico di Andrea. Avevo ancora nel corpo le forti sensazioni di “Maria Imperatrice – Primo studio sul silenzio”, un monologo che Andrea aveva presentato in anteprima al Festival ItinerAria di Calcata (VT) nell’estate 2014. Un vero e proprio (e meraviglioso) shock. Non ho avuto dubbi o tentennamenti: volevo conoscere di più e meglio il Teatro delle Bambole. Sono entrato subito in Compagnia lavorando alla messa in scena di “Se Cadere Imprigionare Amo – Suggestioni dal respiro di una crisalide (Progetto di ricerca: La lingua degli insetti – Cofanetto 5: Blattidae e Lepidotteri)“ che ha debuttato nel Maggio dell’anno successivo al Teatro dell’Orologio di Roma poco prima della sua chiusura definitiva. Si tratta di uno spettacolo che ho amato molto anche perché mi ha fatto entrare in contatto con il lavoro di Andrea su noi attori. Da quel momento è stata una bellissima cavalcata creativa con molti lavori realizzati dal Teatro delle Bambole e che mi hanno visto coinvolto come attore. Mi ritengo fortunato anche per aver visto con i miei occhi la nascita, nel Febbraio 2020 poco prima del primo lockdown a causa della pandemia, dell’Archivio “Andrea Cramarossa – Teatro delle Bambole” presso “Casa Morra – Archivio d’Arte Contemporanea” di Napoli. A Palazzo Cassano Ayerbo D’Aragona sede della Fondazione Morra – Istituto di Scienze delle Comunicazioni Visive è custodita la produzione artistica realizzata dalla nascita del gruppo di ricerca sino a oggi. Mi sono occupato personalmente, insieme ad Andrea, alla realizzazione dell’Archivio che è in continua evoluzione e aggiornamento.
Il mio entusiasmo i primi tempi si è scontrato con la realtà. Sono sceso a Bari con il pregiudizio che il Sud fosse ovunque amorevole, gentile e forse materno. Mi sono scontrato con una simpatica ruvidezza barese. Diciamo che è una città materna a modo suo: prima ti dà una sberla e poi ti accoglie. Ora le cose vanno decisamente meglio. Le difficoltà sono quelle legate alla protezione del nostro lavoro in un sistema teatrale regionale e nazionale che è un coacervo di contraddizioni e compromessi al ribasso. Alle volte ci sentiamo come l’orso marsicano che rischia l’estinzione. Resistiamo come tante altre realtà professionali italiane nel lavoro artistico costante e continuo. I vantaggi sono moltissimi, a partire dal respirare aria salmastra al vivere in un luogo che definire bello è riduttivo.
Ma veniamo allo spettacolo IL FIORE DEL MIO GENET.
Uno spettacolo è fatto per intrattenere il pubblico; da cosa e verso cosa Teatro delle Bambole vuole spostare l’attenzione?
(Andrea Cramarossa) Sì, è vero, uno spettacolo è fatto per intrattenere il pubblico. Penso, però, che il teatro sia un’altra cosa. Nonostante il sottotitolo del nostro lavoro, “spettacolo”, in questo caso, ha la pretesa di coniugare lo stare dello spettatore con la sua trasformazione. Lo spettacolo racchiude in sé ciò che di più spettacolare e di spettacolarizzante possa esserci in un determinato atto scenico (e non solo, basti pensare alla contemplazione di alcuni estasianti fenomeni naturali che, appunto, definiamo spettacolari); la sfumatura che viene a risaltare la sua insita spettacolarizzazione, risiede proprio nella sua capacità di trasformazione, cioè lo spettacolo è questa cosa qui, il trasformarsi sentendosi cambiati se trasportati in uno stato di alterità.
(Federico Gobbi) Il testo dello spettacolo è uno scritto originale di Andrea ed è quasi un unico verso aulico che vuole rendere omaggio ad una figura così amata e controversa (e assai poco rappresentata) come il grande Jean Genet. Un autore-icona per tutto il mondo lgbtqi+ e che ha influenzato il mondo dell’arte nella sua accezione più ampia. Il lavoro attinge dal contrasto tanto caro a Genet tra l’universo sacro e puro che aspira alla santità e il mondo buio e sordido dei bassifondi.
Cito:
“stare con Genet, significa stare dalla parte di chi non è stato ascoltato”
A fine serata lo spettatore da quale parte starà?
(Andrea Cramarossa) Ecco, appunto, l’intento è che lo spettatore si ritrovi proprio a contatto con la sua alterità. È lo stato migliore, quello dell’estasi come del turbamento, per uscire da quella zona di conforto alla quale lo spettatore è stato fin troppo abituato nel tempo, attraverso morbosi e insistenti meccanismi di mitridatizzazione, per cui, oggi, pare che nulla possa smuovere profondamente alcuna persona, ciascuna anelante il suo stato di normalità. Mentre, in realtà, penso che tutto sia in movimento e di certezze e normalità ci sia ben poco.
(Federico Gobbi) Si tratta sempre di scelte. Anche quella dello spettatore è una scelta. Anzitutto quella di venire o meno a Teatro. Se viene avrà la possibilità di lasciarsi trasportare affinché dentro accada qualcosa che, noi ci auguriamo, possa portarsi a casa. Perché il Teatro inizia quando si chiude il sipario e lo spettatore starà con le emozioni che avrà provato. Da questo punto di vista ovviamente noi artisti abbiamo la responsabilità che questo avvenga tramite il nostro sacrificio in scena. Se non avviene non ci può essere scambio e nessuno si è nemmeno spettinato.
Domenica 20 marzo, al termine della replica, ci sarà la presentazione del libro:
“L’EDERA – per un’etica rampicante nello spettacolo” (Edizioni Corsare).
Cosa tratta, se posso.
(Andrea Cramarossa) Si tratta di uno stimolo etico partito dalla proposta di Simone Faloppa di ragionare attorno ai temi dell’etica nel mondo dello spettacolo. Ci siamo ritrovati durante la pandemia e abbiamo provato a mettere nero su bianco tutti i nostri pensieri e le nostre riflessioni anche di anni sui più svariati temi etici, riducendole poi per sezioni in brevi quanto ficcanti aforismi. Il libro è molto dinamico e si legge, credo, piacevolmente e, allo stesso tempo, pone interrogativi pregnanti. Si è trattato di un lavoro a più mani. Oltre a Federico Gobbi e a me e al già citato Simone Faloppa, hanno lavorato con passione e determinazione alla stesura del libro Antonello Cassinotti, Daniela Giordano, Sara Palma, Rita Pelusio e Marco Schiavoni.
Mi piace ricordare la domanda di Lucàks su cui gira, secondo me, tutto questo nostro lavoro e cioè: può uno stimolo etico essere elemento fondante di una comunità?
Credo che questa domanda sia alquanto urgente in questi nostri tempi.
(Federico Gobbi) Possiamo tranquillamente dire senza essere smentiti che la realizzazione e la pubblicazione di questo libro è una delle poche cose concrete e tangibili che gli artisti sono stati in grado di realizzare durante il periodo dei vari lockdown. Un’occasione che per moltissimi versi è stata sprecata. Andrea ed io ci siamo impegnati moltissimo fino allo sfinimento per far tornare gli artisti a parlarsi come facevano Gian Maria Volontè e Carla Gravina negli anni ’60. Pura utopia. Abbiamo quindi felicemente sposato le intuizioni di Simone Faloppa per arrivare a questo primo importante tassello. Un percorso non semplice perché gli otto autori vivono esperienze e contesti anche molto differenti, da nord a sud. Abbiamo dimostrato però che il dialogo tra artisti è possibile. Abbiamo poi deciso di darci il nome di Itaca Etica, un collettivo di donne e uomini di teatro che riflettono sul fare teatro in Italia, oggi come ieri. Ma attenzione, non è un libro autoreferenziale scritto da artisti per gli artisti. Si tratta di un libro per tutti. Non a caso il testo è articolato in più sezioni (dalle Istituzioni al Pubblico, dai colleghi al Settore, ecc.) allo scopo di porre il tema di una deontologia per l’intero comparto dello spettacolo dal vivo, che coinvolga tutte le relazioni tra i soggetti che ne fanno parte. Raggiungere i giovani e chi si affaccia per la prima volta a questa nostra funzione nella società (perché è molto più che un semplice “lavoro”) è la nostra aspirazione.
Aggiungo infine che il libro è stato realizzato anche grazie all’accoglienza delle Edizioni Corsare di Giuliana Fanti e che L’EDERA – per un’etica rampicante nello spettacolo è arricchito anche da due importanti contributi: quello di Francesca Romana Recchia Luciani (filosofa, docente di Storia della filosofia dei diritti umani – Università degli Studi di Bari) e Dino Villatico (giornalista e musicologo, critico musicale di Repubblica e docente di Storia della musica al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia). Infine segnalo che Itaca Etica è sempre disponibile per organizzare presentazioni in Teatri, Librerie o Scuole di Teatro ma anche per accogliere riflessioni, consigli e critiche.
Se interessati, scrivere al seguente indirizzo mail: itacaetica.edera@gmail.com
oppure consultando la pagina facebook
Nel foyer del Teatro verrà allestita la mostra “Senza morale” con fotografie di Andrea Cramarossa. “Senza morale” cosa ‘mostra’ allo spettatore?
(Andrea Cramarossa)Il fiore del mio Genet è uno dei lavori nati dal progetto di ricerca “La lingua degli insetti”, durato cinque anni. Sono stati anni duri, di lavoro costante, e anche di grande entusiasmo, passione, voglia di scoprire nuovi orizzonti. Li ricordo con una sensazione vicina al coraggio dell’esploratore e sono molto felice che questo lavoro possa trovare nuovi luoghi dove farsi rito col pubblico, nonostante l’intero progetto sia terminato cinque anni fa. In scena ci sono Federico Gobbi e Domenico Piscopo, che incarnano due personaggi loschi, furtivi e tenebrosi, ma dall’umanità scarna e tremebonda, nella prima parte del lavoro intenti a raccontarsi un tempo immaginario nel tempo lunghissimo della prigione, per poi riprendersi i propri panni di persone-attori, ritornando personaggi nel finale. Compiono, cioè, una continua metamorfosi. Non a caso, l’ordine d’insetti studiati per questo lavoro, è stato quello dei Lepidotteri.
Ecco, la mostra fotografica Senza Morale, attraverso le innumerevoli suggestioni dalla biografia di Genet, incarna visivamente le suggestioni derivanti da queste reiterate metamorfosi durante le prove dello spettacolo, immortalando i soggetti in ritratti macabri e scabrosi, dolci e impenetrabili, determinando, così, l’atteso e mai compiuto sfarfallamento.
Prima di salutarci, vi va di dare l’appuntamento con lo spettacolo IL FIORE DEL MIO GENET?
(Federico Gobbi) Certamente.
Grazie Tito per questa opportunità. Lo spettacolo IL FIORE DEL MIO GENET – Spettacolo tra i bassifondi dell’anima andrà in scena a Milano presso il Teatro LinguaggiCreativi nelle serate di Sabato 18 marzo (ore 20.30), Sabato 19 marzo (ore 20.00) e Domenica 20 marzo (ore 19.30).
Vi aspettiamo!
E noi ci saremo.
IL FIORE DEL MIO GENET
spettacolo tra i bassifondi dell’anima
Teatro Linguaggicreativi – Via Eugenio Villoresi 26, Milano
dal 18 al 20 marzo 2022
drammaturgia e regia Andrea Cramarossa
con Federico Gobbi e Domenico Piscopo
sinossi
un ricordo, un omaggio, una riflessione sulla poetica e sul mondo melmoso e puro di Jean Genet.
Dal non – luogo il poeta è passato e ha lasciato una traccia: due ladri. Due che, come lui, hanno imparato a vendere sé stessi e a rubare, a pregare e a uccidere, a fuggire e a restare. Il poeta è stato troppo poco tempo, forse, con loro, è stato graziato ed è andato via. Hanno imparato il verso della poesia, hanno imparato a dirle, le poesie. Non aspettano il suo ritorno, sanno che non tornerà, sanno che dovranno cercarlo se mai, anche loro, lasciando quella piccola casa colma di ricordi indigesti, dimenticandosi del loro patto e della reciproca assenza.
Domenica 20 marzo, al termine della replica, ci sarà la presentazione del libro L’EDERA – per un’etica rampicante nello spettacolo (Edizioni Corsare).
Alla presentazione, moderata dal giornalista e critico teatrale Diego Vincenti, saranno presenti Andrea Cramarossa, Federico Gobbi e Simone Faloppa.
TiTo
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