Il Teatro Filodrammatici apre la sua stagione con un grande classico: Il giardino dei ciliegi di Anton P. Cechov, in scena fino al 2 novembre.
Il regista Benedetto Sicca porta in scena Cechov con l’Associazione Culturale Teatro Ma, nata nel 2011 dalla volontà di dieci diplomati dell’Accademia dei Filodrammatici. Il prodotto finale di questa collaborazione è la messa in scena di uno dei testi più importanti della drammaturgia europea.
L’opera fu rappresentata per la prima volta il 17 gennaio 1904 al Teatro d’Arte di Mosca sotto la direzione di Kostantin Sergeevic Stanislavskij e di Vladimir Nemirovic-Dancenko. Un secolo dopo il Teatro Filodrammatici ci restituisce una rilettura attuale e moderna, curata nei dettagli sia a livello registico che drammaturgico, con attori capaci e di alto livello.
Una luce calda avvolge il palco e ospita i personaggi di Cechov liberati dal contesto drammaturgico e lasciati vivere di fronte ai nostri occhi. Centrale la figura del maggiordomo Firs che si fa insieme personaggio e narratore per condurre al meglio i pubblico fin dentro la storia.
Le caratteristiche principali di questo spettacolo sono la poesia e la delicatezza: un rispetto profondo verso il testo e verso ciò che ha rappresentato per il teatro. Il giardino dei ciliegi diviene metafora di quanto ognuno di noi nella vita ha dovuto lasciare alle spalle. Ognuno di noi conosce il rimpianto e il dolore dei protagonisti che diviene qualcosa di assoluto e, per questo, atto dopo atto arriva a toccarci nell’animo. I personaggi si muovono sordi e l’incomunicabilità è quanto regna sul palco: incapacità di capire i cambiamenti e di accettarli e dunque è brevissimo il passo verso il senso di solitudine. Come accade con i personaggi di Cechov avviene la magia: vorremmo alzarci per abbracciarli e dire loro “andrà tutto bene, non sei solo, non è così”. Invece restiamo inermi a guardare quella tragedia che non viene urlata ma rimane ancora più tragica perché quotidiana, vera, incomunicabile.
Mai come in questo momento “Il giardino dei ciliegi” è più attuale: una società che corre verso cambiamenti ai quali non siamo pronti e chi resta ancorato al passato è costretto a cadere, a fallire. Sul palco cade sabbia come fosse una clessidra a misurare il tempo che passa. Inesorabilmente. Un orologio che non può fermarsi e che conduce i personaggi verso la loro sorte: la vita che passa, veloce, troppo veloce.
La regia non ha sbavature. La contaminazione drammaturgica a volte osa ma sempre con grande rispetto. Gli attori sono bravi e riescono a rendere chiaro e immediato un testo che risulta sempre non facile per gli spettatori. I personaggi nelle loro voci prendono vita armoniosamente e come burattini si prestano al servizio dell’attualità, di cosa sarebbero dovuti essere oggi.
Uno spettacolo che ti accompagna a lungo, molte ore dopo che sei uscito dal teatro. Quel miracolo che solo Cechov sa fare.
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