“Ausmerzen-vite indegne di essere vissute”: 5 domande a Renato Sarti

renato sarti
foto Barbara Rocca

Il 28 gennaio calava il sipario sullo spettacolo I me ciamava per nome 44.787 al Teatro della Cooperativa, il 20 febbraio (fino al 3 marzo) si è nuovamente alzato il sipario, sempre grazie al suo direttore Renato Sarti, grazie ad un altro importante e interessante spettacolo Ausmerzen, vite indegne di essere vissute.

“mentre stavo preparando lo spettacolo I me ciamava per nome 44.787 sul lager della Risiera di San Sabba a Trieste – queste le parole di Sarti – venni a conoscenza dell’Aktion Te Vier, l’Azione Ti Quattro, il primo sterminio di massa nazista: l’eliminazione di settantamila tedeschi fra malati mentali, portatori di handicap, disabili e bambini affetti da malformazioni”

Vista la tematica, nonostante i tanti impegni, sono riuscito ad intercettare l’amico Renato Sarti saperne…

… quando decidi di interpretare Ausmerzen, vite indegne di essere vissute lo spieghi benissimo sulle pagine virtuali del sito del Teatro della Cooperativa.

Cosa possiamo aggiungere?

Gli spunti di riflessione che offre lo studio sulla storia in generale e particolarmente sulla storia della seconda guerra mondiale e tutto quello che gli gira attorno sono infiniti e di grande profondità. Non solo dal punto di vista militare e politico. Ci sono aspetti di carattere culturale, artistici, culturali interessantissimi da approfondire e sviscerare. In questo caso c’è una riflessione di carattere antropologico legato a dinamiche di carattere razzista e medico/scientifico di grande interesse. Studi e approfondimenti che, se fossero stati studiati e approfonditi anche nella fase pre universitaria, avrebbero potuto indicare a ragazzi come affrontare meglio il loro futuro. Pensa all’importanza di un libro come quello di Annette VievorkaL’era del testimone” con implicazioni molto importanti per un lavoro come il nostro, in cui, negli ultimi decenni, la testimonianza delle persone che hanno vissuto direttamente certe esperienze – e non solo storico politiche, ribadisco – l’ha fatta davvero da padrona.

Questa grande occasione, come tante altre relative agli aspetti di carattere sociale, umano, politico e culturale, ahimè è andata sprecata molto molto malamente.

Per chi non lo sapesse Aktion T4 cosa indica, ma soprattutto cosa avveniva in questo luogo?

La palazzina situata in Tiergantenstrasse 4, da cui il nome della operazione di eliminazione dei malati mentali, dei disabili, dei bambini con malformazioni, era un vero e proprio centro di progettazione scientifiche e pianificata e di raccordo di tante attività: dalla schedatura, all’esclusione sociale, dal trasferimento forzato – autentici sequestri di persona – a visite mediche a tutto servivano meno che alla salute del poveretto che capitava sotto le grinfie, dagli esperimenti più atroci alla eliminazione fisica tramite punture letali di psicofarmaci o con il gas. La morte era praticata in sei istituti della T4 disseminati in tutto il territorio della Germania, ma la testa, il centro operativo era in quella via, nella centralissima via del giardino zoologico.

Ah, la palazzina, tanto per la cronaca, era stata sequestrata a un ebreo!

Ma la persecuzione razziale (come quella politica) venne dopo, molto dopo a quella dei malati mentali e ai diversi per eccellenza. Nel centro T4 di Brandeburgo, dove si sperimentarono per la prima volta in modo seriale le camere a gas, fu l’anticamera e l’apprendistato da dove prese avvio quella catena di morte che poi annienterà milioni e milioni di esseri umani.

I nostri lettori hanno imparato a conoscerti e sanno che sei uno dei pochi che indaga su queste tematiche, troppi i silenzi davanti ai quali si preferisce sorvolare… secondo te perché spettacoli così riscuotono successo ma di fatto scomodi?

Ma sì, sono scomodi perché a volte, la gente – leggitimamente – non sempre va a teatro con l’obiettivo di sentir parlar, per dirla sinteticamente, di morte e di atrocità. Ma poi sappiamo anche se tiriamo via i suicidi, le stragi, le guerre, con tutte le sue componenti anche personali, familiari ed estremamente intime… non avremmo, tanto per fare due piccoli esempi, il teatro greco e quello di Shakespeare.

Io vado a teatro per ragionare, imparare, ma contemporaneamente voglio piangere o sbudellarmi dalle risate. E ho la presunzione di illudermi – modestamente – che con i miei testi questo avvenga veramente.

Al tuo fianco sul palco del Teatro della Cooperativa ci sarà Barbara Apuzzo, ce la presenti?

Una attrice e una donna straordinaria.

Aveva fatto al Teatro della Cooperativa uno spettacolo sul rapporto fra sessualità e disabilità. Tema estremamente delicato, trattato con tanto coraggio e tanta grazia. In Ausmerzen la sua presenza è fondamentale, più della mia. Perché è lei, con la sua artrogriposi, con la coscienza che durante il periodo della T4 sarebbe diventata mauschniker rauch, fumo umano, far comprendere con la sua presenza e la sua fisicità, cosa sia stato tutto l’orrore della T4. Una coscienza la sua vissuta con quella umanità che solo certe persone, con le loro difficoltà, psichiche e fisiche che siano, possono avere. Difficoltà di cui sicuramente ne farebbero a meno ma che a volte ti regalano, per contropartita, una sensibilità e una profondità nell’affrontare la vita e instaurare rapporti, davvero “particolari” e migliori.

Una preziosità.

A fine serata cosa vorresti che si portasse a casa lo/la spettatore/trice, ma soprattutto una volta sceso dal palco tu cosa vorresti chiedere loro sullo spettacolo appena terminato?

In questo caso, a differenza di tutti gli altri spettacoli in cui tratto argomenti di carattere storico/politico/civile non mi viene da chiedere tanto. No. Spero che succeda, come è successo a me e a tutte le persone del Teatro della Cooperativa che durante alle prove hanno avuto modo di avvicinarsi a questo testo, non mi è venuta voglia di chiedere ma di riflettere (gran bella parola) su quello che muove dentro di me. Una frase che mi sono permesso di aggiungere al testo di Marco Paolini grazie però a una suggestione profonda che nasce dallo spessore delle sue riflessioni finali:

“L’esercizio faticoso da fare in questo caso non consiste nell’identificare il nazismo degli altri, ma di quello insito, sempre in agguato, dentro di te. Per una volta provare il brivido e l’ebbrezza di affacciarsi sulle tenebre oscure di un terribile baratro e scoprirti… davanti allo specchio”

A proposito permettimi di ringraziare pubblicamente Marco non solo per avermi dato mano libera (“Fa quel che te vol”, mi ha detto, “Mi fido de ti!”) ma soprattutto di avermi dato la possibilità di confrontarmi con questo testo particolarmente impegnativo ma magnifico.

Ed io ringrazio te Renato per il tuo prezioso lavoro prezioso che metti sempre in scena, a Voi dico di andare a teatro. Quando?

Fino al 3 marzo 2024
Teatro della Cooperativa

AUSMERZEN,
vite indegne di essere vissute
di Marco Paolini, Mario Paolini, Michela Signori, Giovanni De Martis
regia, scena e costumi Renato Sarti
con Renato Sarti e Barbara Apuzzo

Buona serata!

TiTo

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