
Un uomo entra in un supermercato all’interno di un grande centro commerciale di una città francese. Ruba una lattina di birra e viene bloccato da quattro addetti alla sicurezza che lo trascinano nel magazzino e lo ammazzano di botte. Questo scarno fatto di cronaca è raccontato da Laurent Mauvignier in un lungo racconto, una sola frase che ricostruisce la mezz’ora in cui è insensatamente raccolta la tragica fine di un uomo. Teso quasi allo spasimo nel resoconto minuzioso di una morte assurda, il flusso di parole raduna impercettibilmente tutti i temi cari a Mauvignier. E torna così il suo sguardo purissimo su un universo di “umili” che la scrittura rigorosissima accoglie senza una briciola di retorica, senza un’ombra di furbizia.
Raro, oggi, nel trionfo dei format narrativi nei quali la realtà diventa un reality, uno stile così
impeccabilmente morale, una prosa così pudica e vera. “Quel che io chiamo oblio” è il titolo originale di questo lungo monologo (una cinquantina di pagine) scritto in un’unica frase, senza un vero inizio, senza una vera fine, senza punteggiatura ma con una prosa perfetta che in un crescendo emozionante risveglia in noi sentimenti di pietà e indignazione. Messo in scena nel 2012 al Teatro della Comédie-Française, “Quel che io chiamo oblio” diviene per la prima volta spettacolo anche in Italia, prodotto dal Teatro Stabile di Catania. A dare voce al testo un attore di rara sensibilità e potenza come Vincenzo Pirrotta, qui guidato dalla regia di un maestro del teatro e del cinema, Roberto Andò.
STORIA DI UN OBLIO
di Laurent Mauvignier ©Les Editions de Minuit
traduzione Yasmina Melaouah, casa editrice Feltrinelli
regia Roberto Andò
con Vincenzo Pirrotta
DOVE? Teatro Franco Parenti
QUANDO? dal 5 al 10 marzo
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