Recensione: “Pout Pourri”

pout pourri

Bombette, frac e bastoni, ambientazione retrò, un cubo centrale con una lampadina accesa.
In scena tre attori ​(Serena Facchini, Ermanno Nardi e Daniele Pennati) dichiarano apertamente: “io Filippo Tommaso Marinetti fondo il manifesto futurista”.

Ecco che sul palco del Teatro Libero rivive, cento anni dopo, in una veste completamente rinnovata, il famigerato teatro futurista con POUT POURRI – Fisicofollia a partire da Marinetti, spettacolo della compagnia Elea Teatro.

Delicata e rischiosa ma assolutamente riuscita questa operazione di recupero dei princìpi futuristi senza snaturarli, rendendoli, anzi, attuali.
Dinamicità, simultaneità, irrealtà, velocità: all’urlo di “zan tum tum” un uomo con una mazza da baseball “ammazza” il mostro, una televisione. Ne resta il cadavere sul palco e subito una nuova scena e ambientazione cattura il pubblico che viene costantemente sollecitato e anche coinvolto in prima persona in un gioco meta teatrale di tiro alla fune uno contro tutti.

È un nuovo manifesto quello che la compagnia Elea propone, una riflessione sulle assurdità del nostro tempo, sull’inutilità di alcune azioni come chi, ad esempio, su una cyclette, crede di essere in fuga e invece sta solo pedalando a vuoto, oppure chi, per rivolgersi alla luna parla ad una lampadina, poi personificata e infine ammazzata. In scena davanti ai nostri occhi avviene lo smascheramento della falsa faccia della società contemporanea dove i social provocano la morte dei sogni e delle relazioni. Non vengono risparmiate le arti e sono messi sotto torchio i virtuosismi del teatro e della danza, dei balli di gruppo, della musica pop e commerciale.
Così dinamismo, urla, velocità futuriste si confondono con la malinconia del nostro tempo e con la frustrazione dell’uomo che si ritrova ad essere fondamentalmente solo.

Come affermava Marinetti “la realtà ci vibra intorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri, confusi aggrovigliati e caotizzati” così succede anche in POUT POURRI: l’uso di gesti elementare, la soppressione della logica e della verosimiglianza spiazzano e portano la visione dal piano reale al piano del sogno e del simbolo. Questa scelta dell’uso del flusso continuo restituisce la complessità e la mutevolezza della vita stessa.

Non mancano ovviamente, come da prassi avanguardistica, i siparietti musicali, i colpi di pistola e di scena, i rumori, i vocalizzi, petardi e scoppi improvvisi, alla continua ricerca della sorpresa a tutti i costi.

Lo spettacolo è intelligente, ricco di citazioni sottili e accenni storici ben contestualizzati, gli attori sono brillanti e soprattutto convincenti.
Uscendo dalla sala resta il gusto retrò di uno spettacolo d’altri tempi che parla un linguaggio contemporaneo.

Valentina Dall’Ara

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