Recensione: “L’ora di ricevimento”

ora di ricevimento

LA BANLIEUE A RICEVIMENTO

C’è una grave assunzione di responsabilità nell’insegnare qualcosa a qualcuno, un radicale rischio di imprinting o transfert di cui si accetta preventivamente una colpa. È una colpa simile a una progenie, una di quelle elleniche maledizioni tragiche che ripiombano su generazioni.

Oggi lo chiameremmo Karma, ieri milieu.

È un rischio economico, o forse esistenziale. C’è chi lo accetta e decide di vantare un “insegnante” alla voce professione della propria carta d’identità e chi, invece, lo rifugge avvalendosi di facoltà ed emendamenti vari. La prima categoria risiede in aule stantie e grigie, talvolta verde banco.

Assume con coraggio il rischio, bipartito in natura intima e socio-culturale, con la consapevolezza che prima o poi, comunque sempre, commetterà un errore, inciderà su un’altra esistenza a causa dell’imperfezione antropologica. Un insegnate è un kamikaze, seppur armato di buone intenzioni.

L’ora di ricevimento di Stefano Massini, per la regia di Michele Placido, rende in commedia il suddetto dramma del didascalico. Il professore Ardeche, interpretato fino alla catarsi da Fabrizio Bentivoglio, è docente di francese a Les Izards, banlieue di Tolosa suturata da piaghe sociali e conflitti culturali. La sua cinica visione ha finito con l’incorporare alcuni dei tratti peculiari che rintraccia nei suoi stessi alunni. In scena, con sforzo di visione e manzoniane descrizioni, si alternano prototipi di alunni e relativi stili di vita. Nonostante la malattia viscerale ma non contagiosa del professore Ardeche per Rabelais e Voltaire, quello cui si assiste è un defilé dei caractères di La Bruyère.

A ciascuno un banco e un posto in società.

Ed è quest’ultima il vero e sapido condimento del testo di Massini. Una società puntellata da criticità, talvolta esasperate da stereotipi, ma pur sempre veritieri. Uno spaccato della intensità multiculturale che quasi mai si traduce in integrazione a vantaggio, piuttosto, di una biotta convivenza isterica in cui ci si limita a notare o tollerare con superiorità la diversità. L’ora di ricevimento è questo, a citar Stendhal, uno specchio che percorre una strada maestra. A volte riflette l’azzurro del cielo, a volte il fango delle pozzanghere.

Alessandra Cutillo

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