
Sala gremita e tanti applausi: così è stato accolto lunedì 11 dicembre il debutto milanese de “La fabbrica della felicità” messo in scena dalla compagnia Connettiv024grammi a Campo Teatrale. I soggetti coinvolti da citare, però, sono molti di più… Prima di tutto bisogna allargare i confini, ricordando la Fondazione Claudia Lombardi per il teatro, sede operativa Lugano, che ha promulgato il bando Teatroinscena di cui questo spettacolo ha vinto l’edizione 2017. E ancora, il progetto è stato realizzato con il patrocinio di LuganoInScena, Divisione Eventi e Congressi della Città di Lugano, Teatro Foce di Lugano, ATIR Teatro Ringhiera di Milano (avrebbe ospitato la replica, ma a causa della chiusura dei battenti per lavori urgenti di ristrutturazione non è stato possibile mettere a disposizione gli spazi, che sono stati offerti in alternativa da Campo Teatrale) e, appunto, Campo Teatrale.
Insomma, un contingente sostanzioso per un lavoro che fa dell’aspetto corale un punto di forza. In un periodo teatrale dove per vari motivi, più o meno nobili, prevalgono i one man show (senza nulla togliere a questo genere di spettacoli) è bello vedere sul palco sei giovani attori che hanno deciso di costituirsi in compagnia proprio per realizzare insieme questo progetto: Nicola Andretta, Giuseppe Attanasio, Irene Canali, Miriam Costamagna, Daniele Palmeri e Marta Salandi interpretano i personaggi creati dalla mente di Irene Canali, guidati dal “veterano” Mattia Fabris, tutor offerto dalla Fondazione per aiutare il gruppo a raggiungere una personale e compiuta dimensione espressiva.
E la direzione che intraprende la compagnia Connettiv024grammi nello spettacolo è molto chiara: una distopia asettica, igienizzata, perfetta che si ispira al celebre romanzo “Mondo nuovo” di Aldous Huxley; una fiaba che racconta di una città non molto distante da noi, in un tempo indefinito, dove la fabbrica Pfaizer produce la pillola della felicità; un racconto che sviscera domande, più che risposte, sul nostro rapporto con il dolore, sulla paura della vecchiaia, sul senso di inadeguatezza e imperfezione proprio dell’umano, il tutto sedato dal meraviglioso Soma, il farmaco “euforico, narcotico, gradevolmente alienante che sembra eliminare tutto quello che c’è di sgradevole”, la pillolina centellinata sapientemente per controllare la società e allo stesso tempo trarre profitto dalle sue angosce più profonde. Per chi, nonostante la promessa di felicità, non riuscisse ad adeguarsi allo standard, c’è la Pietraia, un luogo dove spegnersi dolcemente, in silenzio, senza dolore; una scomparsa praticamente lobotomizzata, che non genera scandali e permette di non affrontare i grande tabù del nostro tempo, ossia il decadimento fisico, la vecchiaia, la morte.
L’autrice si affida a undici personaggi per attraversare in ventitré quadri storie paradossali, tragicomiche, tenere e crudeli allo stesso tempo che conducono agli interrogativi che si è posta in prima persona e rivolge anche a noi: “quali forme e sfumature assume oggi la nostra idea di felicità? In quale mondo, in che tipo di civiltà potrebbe condurci la ricerca di questo tipo di felicità, assoluta e duratura? Quali sono gli interessi e le ambizioni di chi le fornisce carburante?”. La felicità è senz’altro un tema atavico che in questo spettacolo viene però declinato seguendo parametri moderni, sottolineati dagli evidenti riferimenti alla contemporaneità: lo strapotere delle industrie farmaceutiche, la propaganda pubblicitaria, le psicosi della nostra generazione, la speculazione finanziaria a braccetto con la ricerca scientifica, la società consumistica… Anche la scenografia – molto efficace e allo stesso tempo versatile nelle sue linee essenziali – e i costumi plasticosi e sberluccicanti rimandano simbolicamente a una società dove il bagliore della felicità vuole paradossalmente oscurare le ombre della realtà, cancellando ogni male e ogni errore ma anche costringendo tutti ad arrendersi a una dolce bugia. Alla fine, quindi, chi vince? Chi perde?
Concludendo, le premesse presentate da questa compagnia sono molto buone e il progetto può crescere ancora, quindi porgiamo a loro i migliori auguri di buon lavoro. Tornando allo spettacolo e pensando a quanto siamo ossessionati dalla ricerca della felicità, non resta che ricordare l’aforisma del grande Oscar Wilde: “Sta’ attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo”.
Marzorati
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