Recensione: I Legnanesi “Non ci resta che ridere”

non ci resta che ridere
foto Federico Vagliati

Al Teatro della Luna inizia il trimestre de I Legnanesi. Dopo aver festeggiato il 70esimo anniversario con “70 voglia di ridere” e un libro a loro dedicato, oltre al primo film tv andato in onda la sera di Santo Stefano, la storica compagnia lombarda entra nel 2020 con il nuovo spettacolo “Non ci resta che ridere”. Un ossimoro e al tempo stesso un chiaro omaggio alla pellicola diretta nel 1984 da Massimo Troisi e Roberto Benigni da cui I Legnanesi prendono lo spunto del viaggio nel tempo. Un espediente più volte utilizzato nel cinema ma che risulta sempre affascinante e coinvolgente.

Il Sipario si apre non sul classico cortile che ospita la famiglia Colombo, bensì a Parigi all’interno del museo del Louvre. Qui inizia la nuova avventura del trio Teresa-Giovanni-Mabilia con un furto de La Gioconda che si trasforma in un salto nel passato finendo nel laboratorio milanese di Leonardo da Vinci dove tra gli ospiti c’è persino Michelangelo Buonarroti. Il testo vuole mantenersi al passo coi tempi inserendo subito riferimenti ai gilet gialli francesi e alla plastic tax in Italia. Sul palco Antonio Provasio nei panni della Teresa svolge come sempre benissimo il ruolo di “capocomico” spalleggiato degnamente da Enrico Dalceri (Mabilia) e Lorenzo Cordara (Giovanni). Qui diventa, però, d’obbligo aprire un capitolo a parte, perché chi segue le vicissitudini della compagnia sa che il cambio nel cast ha suscitato parecchie discussioni, soprattutto via social, al punto che proprio in questo spettacolo troviamo un corposo capitolo dedicato agli haters. Attenendoci semplicemente a quanto visto in scena e soprattutto senza voler fare paragoni con un attore esperto e bravissimo come Luigi Campisi, bisogna dire che Lorenzo Cordara ha saputo reggere il colpo, mettendo in mostra una prestazione positiva. Dalla sua la possibilità di crescere replica dopo replica, ma gli applausi spontanei scoppiati dopo il suo sketch principale sono stati più che meritati. Il testo avrebbe addirittura permesso un leggero allontanamento dal personaggio classico visto che la storia prevede un intervento al cervello di Giovanni, gli autori, però, hanno scelto di non seguire la strada più semplice rimanendo fedeli alla maschera. Chi poi contesta la giovane età dell’attore dovrebbe rivedere la storia della compagnia e gli anni dei suoi predecessori.

Non ci resta che ridere
Foto Federico Vagliati

Rimanendo sul cast, merita una citazione a parte Maicol Trotta che interpreta Salai, il braccio destro di Leonardo da Vinci. Trotta sta dimostrando un miglioramento continuo, poco tempo fa lo abbiamo visto impegnato nello spettacolo di Provasio “Mi sono rotto i ricordi” e ora lo troviamo per buona parte dell’opera spalla principale della Teresa. Ottimo anche Giovanni Mercuri (Leonardo) e Francesco Pellicini (Michelangelo) artista e attore di alto livello che chi ha avuto la fortuna di vedere in altri contesti non può che ricordare con piacere. Abbiamo tenuto per ultimo Enrico Dalceri non certo per demerito, ma per unire il discorso anche alle sempre piacevoli coreografie ricche di luci e di colori che sono parte integrante ed essenziale dell’opera. Il pubblico può così gustarsi lo scoppiettante can-can tutto al maschile dei bravissimi Boys, per un lungo omaggio a Parigi, e le intramontabili note di “Mamma” di Beniamino Gigli e Claudio Villa. In ogni caso tutto il cast riesce a mettere un pizzico di originalità e di pepe al prodotto finale.

Nel secondo tempo la storia si sposta nel 1918 dove troviamo il tradizionale cortile trasformato in un sanatorio per i feriti di guerra. Qui il racconto diventa più fluido e conciso rispetto a una prima parte che in alcuni casi è sembrata allungarsi un po’ oltre il necessario. Al pubblico vengono offerti richiami e curiosità riferiti ai personaggi di oggi grazie all’incontro coi loro antenati, prima della conclusione dedicata come già detto alla tecnologia e ai social network e all’immancabile uscita sulla ribalta in smoking.

Ivan Filannino

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foto Federico Vagliati

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