Poco prima di Natale siamo andati a trovare Alberto Corba, direttore artistico della Compagnia Teatro dei Lupi, per conoscere meglio questa realtà milanese e soprattutto per vedere la nuova sede inaugurata meno di un anno fa. Un bellissimo spazio in via della Capinera 1 che vuole diventare un punto di riferimento per il quartiere e non solo. Un centro culturale dove poter seguire i corsi di teatro dell’associazione ma anche semplicemente leggere un libro e bere un caffè.
Come nasce Teatro dei Lupi?
Teatro dei Lupi nasce nel 2013 per una mia esigenza personale. Sentivo il bisogno di fare un passaggio da attore-regista a chiamata per progetti di altri alla produzione di qualcosa di mio. Avevo tante idee e l’età giusta per identificare il teatro che mi piace fare e che voglio fare. Insieme a me c’era l’attrice Eleonora Falchi e dal 2013 a oggi l’organico di Teatro dei Lupi è cambiato tanto. Quando poi ho deciso di fare del teatro la mia unica professione abbiamo programmato per due anni una stagione che doveva essere una dichiarazione di esistenza. Un modo per dire al teatro milanese chi eravamo e cosa facevamo. Era un cartellone con 24 spettacoli tra cui 6 debutti. Parliamo della stagione 2019/2020, sappiamo tutti cosa è successo in quella stagione e quindi siamo riusciti fare solo metà del programma.
Come hai vissuto il periodo di chiusura causato dalla pandemia?
Sono rimasto solo perché le due persone che lavoravano con me hanno scelto un’altra strada. Io mi sono chiesto: “Cosa ne facciamo questi quasi dieci anni di lavoro?”. Ho buttato il cuore oltre l’ostacolo e ho trovato delle persone meravigliose con cui rifondare la compagnia nella forma in cui è ora. Abbiamo aperto la partita iva, abbiamo registrato l’associazione al terzo settore e, con un po’ di coraggio abbiamo deciso di prendere uno spazio. Siamo a pochi metri dalla fermata Inganni della metro in uno spazio di 200 metri quadri. Una zona fertile, ricca di eventi ma mancava un centro culturale e di produzione. Abbiamo inaugurato la sede a fine maggio e in estate abbiamo fatto alcune attività di formazione e alcuni spettacoli. Ora abbiamo una casa, è la tana dei lupi.
E in questa stagione che programma avete?
A settembre è partita la scuola. Abbiamo un bellissimo corso per adulti e quello per ragazzi. La stagione è partita alla grande sia per la formazione sia per lo spettacolo che abbiamo portato in scena al Teatro Parenti, “L’invasione” scritto e diretto da me sul tema della violenza sulle donne. Abbiamo anche un progetto, non facile da spiegare, è un Romeo e Giulietta mai visto prima andato in scena a dicembre a Teatro Linguaggicreativi con nove ragazzi adolescenti e sei attori professionisti. È stato un momento molto particolare perché un incidente ha reso unica quella serata.
Cosa è successo?
C’è stato un problema con le luci che si sono spente a metà spettacolo. Siamo riusciti ad andare avanti grazie all’idea di alcuni nostri ragazzi che hanno acceso le torce dei cellullari e sono andati avanti a recitare aiutati poi dalle luci dei cellulari del pubblico. La luce poi è tornata ma quel momento è stato molto emozionante.
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Quale è il genere di teatro che preferite fare?
Un mio insegnante mi disse che chiunque vada su un palco a fare una performance deve tirare una riga. Fino a quella riga si deve impegnare a spiegare quello che sta facendo e il messaggio che vuole lanciare, oltre quella riga deve arrivarci il pubblico. Il teatro che mi piace ha questa riga abbastanza vicina al pubblico. Se facciamo uno spettacolo per bambini dobbiamo spiegare tutto, una storia raccontata agli adulti invece richiede anche uno sforzo del pubblico, ma a me piace che il teatro sia chiaro e arrivi a tutti, anche a chi non è spesso in sala. Mi piace quando la gente esce e dice di essersi emozionata portando a casa delle domande e delle riflessioni. Noi usiamo tanta comicità, voglio che lo spettacolo emozioni e diverta, che ci sia una nota comica ironica. Affrontiamo soprattutto temi sociali, problemi seri e la risata è un’ariete che abbatte le difese e ti permette di far passare tutto quello che vuoi raccontare. Rispetto il teatro di ricerca, astratto e lontano. Sono convinto che ci sia bisogno di quello, ma voglio concentrarmi su un teatro universale accessibile culturalmente e intellettualmente al maggior numero di persone possibili.
C’è ancora spazio per la meritocrazia nel teatro italiano?
Secondo me sì. Forse sono un illuso ma credo di sì. Forse dobbiamo ridefinire il concetto di meritocrazia. Vedo che ce la fanno attori e compagnie che non mollano, che credono in qualcosa e insistono. Quelli che vedo cadere sono quelli che cercano di seguire le varie onde. Io credo che lavorare con coerenza e impegno prima o poi dà i suoi frutti. Un altro fattore è non essere mai paghi, bisogna sempre alzare l’asticella.
Quali sono i progetti per il 2023?
Vogliamo far crescere la scuola con un’offerta formativa di eccellenza poi lavoreremo su un paio di spettacoli. Abbiamo nel cassetto delle cose che nel 2019 non hanno visto la luce e quindi li metteremo in produzione per portarli in scena nel 2023/2024. Un altro obiettivo è consolidarci nel quartiere. Siamo in una zona dove non esisteva una realtà come la nostra, dobbiamo far capire alla gente che ora c’è. Stiamo facendo legami con altre associazioni e realtà già presenti sul territorio. Anche il Municipio è molto attento e ci dà un aiuto. Il mio sogno è avere un posto sempre aperto e sempre accogliente.
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