Non si può dire che uccidere i genitori sia qualcosa che attiene al canone del “politically correct”. Ma esiste qualcosa di ancora più inquietante: esultare e sprizzare gioia incontenibile per la loro morte in un attentato terroristico, che consente di ottenere lo stesso risultato senza sporcarsi le mani.
Parte così, mettendo subito le cose in chiaro sulla dose di cinismo che verrà ingurgitata dal pubblico durante la pièce, il riuscitissimo “Bad and breakfast”, scritto e diretto da Rosario Lisma, che si mette in scena nel ruolo più scomodo, quello del figlio cresciuto male male, assieme ad una compagnia di bravissimi attori: Marco Balbi, Anna Della Rosa e Andrea Narsi, già interpreti di “Peperoni difficili”, il precedente successo di Lisma, presentato, così come questo, al teatro Franco Parenti.
Geniale e provocatorio sin dal titolo, che restituisce con un semplice cambio di vocale il doppio progetto della coppia omicida (il figlio e sua moglie): liberarsi dei genitori di lui ed ereditarne la casa, presso la quale abitare e della quale vivere, adibendola a Bed & breakfast. Non è da meno il sottotitolo, “La casa felice”, se si pensa che qui la felicità coniugale può essere raggiunta solo attraverso un’azione efferata.
Sembrerebbe quindi una commedia sulla generazione dei bamboccioni, con tutte le accezioni negative che questa infelice espressione porta con sé, ma qui c’è molto di più. C’è la costruzione di un senso di ineluttabilità, quasi che il parricidio non possa essere altro che una diretta conseguenza di una vita vissuta senza alcuna prospettiva, in una società che ha prima giocato ad illudere per poi comprimere i sogni e le speranze all’interno di una gabbia strettissima, dentro la quale non è possibile vivere ma solo sopravvivere, fino alla distruzione (per implosione) di sé, della propria mente e del poco che si è riusciti a costruire. C’è la dimensione più ampia del concetto di sogno, quella “casa” che rappresenta l’agognato punto di arrivo di qualunque esistenza, solitaria e di coppia, da sempre, sogno che diventa tanto più grande quanto più le condizioni di partenza sono lontane dal benessere. C’è qualcosa, insomma, che non ci può impedire di fare il tifo per loro, per la coppia assassina, nonostante tutto.
Ci vuole grande capacità drammaturgica e attenzione interpretativa per riuscire in questo intento e renderlo anzitutto credibile e in seconda istanza addirittura accettabile. E questo raffinatissimo tessuto narrativo cela le (pochissime) mancanze dello spettacolo: una sottotrama (la storia d’amore omosessuale) forse trascurabile, un netto rallentamento del ritmo in chiusura della prima parte, un finale un po’ troppo prevedibile. Ma questi piccoli limiti non frenano la macchina teatrale costruita da Lisma, che si dimostra anche abile regista realizzando una scenografia a pareti mobili davvero efficace e dirigendo un cast in stato di grazia, all’interno del quale si fa fatica ad assegnare il premio al miglior interprete (forse, per un soffio, la cresciutissima Anna Della Rosa).
Si ride tantissimo, dall’inizio alla fine, nonostante l’ombra incombente di quell’ineluttabilità di cui sopra, che alla fine colpirà anche i due protagonisti. E si ride con grande intelligenza, senza mai cedere alla caricatura o all’ammiccamento. Si diventa tutti complici, insomma, ben felici di non essere stati, nemmeno per un minuto, politically correct.
Massimiliano Coralli
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