Con tus ojos: ballate alla sua salute

Foto di Michela Piccinini

Il Teatro Elfo Puccini ha ospitato per due giornate Con tus ojos, uno spettacolo di teatro danza diretto da Susanna Beltrami, liberamente ispirato alla vita di Pablo Picasso – in scena un ermetico Roy ‘Bryan’ Poer.
Con tus ojos è ricavato dal titolo stesso di una poesia di Rafael Alberti, dedicata all’ultima moglie del pittore, Jacqueline Roque, rappresentata da Ida Marinelli.

Gli spettatori sono invitati ad attendere fuori l’inizio dello spettacolo, che si mette in moto nella galleria antistante il teatro, dove irrompono i ballerini. La difficoltà dello spazio limita la performance che, tuttavia, preannuncia uno stile poi riconoscibile nel corso di tutta la pièce. L’anteprima suggerisce da subito l’imprevedibilità della scansione ritmica, variopinta e coesa, contrappuntata da un ticchettio che traccia un filo immaginario fra le varie stanze.
È infatti un itinerario quello che percorre il pubblico fra le diverse sale e che, se per certi versi frammenta il coinvolgimento, per altri accenna a un’idea di teatro più dinamico, sottraendo lo spettatore alla comodità della poltrona.
Le tappe di questo percorso visionario ed evocativo sono quattro: la stanza che rappresenta il periodo blu, doloroso e teso, scaturito dalla morte dell’amico Casagemas. Di particolare bellezza la soluzione rappresentativa dei quadri, che raggiunge il suo acme nella messa in scena di Due figure.
Nella stanza dell’attesa incontriamo la narratrice Jacqueline, a cui dà voce Ida Marinelli: il pavimento rossastro, delimitato da dei giradischi, è cosparso di fogli bianchi. Il suono che prevale è quello dello stropiccio di questi fogli, sposato al frusciare delle gonne delle ballerine, simboliche amanti del pittore, un Barbablu senza segreti.
Nel foyer troviamo invece Picasso (Poer), la cui controfigura energica si muove su una musica rivitalizzata, dal ritmo incalzante e colorato come i costumi. La danza che letteralmente ne scaturisce, tramite una trovata ad effetto, è però contratta e sembra eludere al periodo cubista.

Il finale culmina nella sala Shakespeare, qui, dove si conserva l’idea delle stanze, vengono a riannodarsi le fila di tutto il percorso. Nel ticchettio che rammenta lo sgocciolare del tempo, Picasso si muove meccanicamente, confinato ad un estremo del palco.
La scenografia deserta si anima dei ballerini che la compongono sotto gli occhi del pubblico: i movimenti si articolano in una moltitudine di variazioni ora pacate, ora frenetiche, dal giocoso al disperato, dall’esotico all’occidentale.
Le luci di Matteo Bittante, dopo aver incorniciato le peculiarità di ogni spazio, si fanno sul palcoscenico tenui e a tratti fosche, rese fumose dalla rete che delimita la quarta parete; l’atmosfera che ne deriva è seducente nell’abbracciare l’espressività dei corpi.
Nel monologo posato e rassegnato di Marinelli si inseriscono voci maschili fuori campo che recitano in lingua originale Barbara di Prévert e Con tus ojos di Alberti; la cifra poetica si concilia, senza sbavature, con gli arrangiamenti di Francesco Sacco. Il giovane sound designer sceglie Arnold Schönberg per la malinconia e la tensione del periodo blu. Si affida poi ai vivaci cromatismi del Gruppo dei sei di Erik Satie, sulle cui tracce crea un percorso musicale eloquente e fluido. Un lavoro votato alla poliritmia, ora animato da vette di fervore, ora addolcito in più pacate insenature, e ora modellato dal calore del flamenco.
I ballerini Selene Manzoni, Daniele Ziglioli, Alice Beatrice Carrino, Samira Cogliandro, Cristian Cucco e Mario Giallanza si muovono, su questa altalena musicale, con non scontata sicurezza all’interno delle evoluzioni registiche. Per i giovani allievi dell’accademia DanceHaus (Camilla De Campo, Vittoria Franchina, Vanessa Franzoi, Giovanni Leone, Vanessa Loi, Anita Lorusso, Giuseppe Morello, Armida Pieretti, Michela Priuli, Elena Valdetara) si tratta di una sfida non da poco, le coreografie, spesso complesse ma anche ripetitive.
Doverosa la nota sui costumi, scelti con spiccato scrupolo estetico, tanto nei colori quanto nei materiali e nei volumi. Tale ricercatezza arricchisce davvero significativamente la pièce, irrobustendo l’impatto scenico così mutevole.

Uno spettacolo denso e concettoso, che forse poteva insistere di più sulla coesione di alcuni frammenti drammaturgici, ciò nonostante le quasi due ore di Con tus ojos scorrono piacevolmente stimolando sensi e curiosità. Lo spettacolo non mitizza la figura dell’artista, e non è neanche un’elogio del femminile: Jacqueline è solo l’ultima delle consapevoli disgraziate donne di Pablo. Le scelte artistiche, operate con minuzia e solidità professionale, mettono a disposizione del pubblico più diverso lenti attraverso cui guardare l’affresco di una memoria umana e culturale. A coronamento di questo disteso viaggio, lungo l’esperienza artistica di uno dei pittori fondamentali del XX secolo, José Greco, con Luca Pasquino alle percussioni, regalano un finale essenziale e grandioso.

Arianna Lomolino

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