Recensione: “Sonnambuli”

sonnambuli

DOMESTICALCHIMIA torna in scena a Campo Teatrale con “Sonnambuli” vincitore del bando Testinscena 2019.
Una seduta di psicoterapia apre la scena e presenta due figure dai modi grotteschi e assurdi, fortemente caratterizzate da una dimensione corporale extraquotidiana a rimbeccarsi un dialogo che, trasformato in forma pura, perde ogni validità di essenza.

Questa apertura straniante si rivela un’anteprima di ciò che si dipanerà davanti agli occhi dello spettatore in tutta la performance: svolge il compito di dettare le regole di quello che si vedrà, come a stipulare un patto con il pubblico in sala.

Stesso contratto che redigono i due protagonisti della vicenda, una giovane coppia alle prese con una relazione agli sgoccioli e con una vita che si presenta monotona, vuota, piatta. La non-relazione è inglobata in un vortice, senza fine, e il tentativo (sarà poi un tentativo?) di cambiamento e rinascita è incarnato in azioni schizoidi, reiterate, compulsive. Entrambi, per riempire il vuoto – il vuotino per l’esattezza – inscenano una serie di teatrini disumani, dove l’amore si confonde con il dolore estremo, quasi al limite di ogni pulsione vitale. Lui e lei, senza nome per essere nessuno e tutti, alternano sequenze di balli vuoti, attente alla forma del passo, con abbracci mancati, disarticolati e amplessi voraci e perversi.

La coppia che si riconoscerebbe nella metafora di elettrocardiogramma piatto sconvolto da scosse completamente inutili, vede la propria routine autosabotante interrotta – o a sua volta sabotata – dalla presenza solo sonora di un vicino d’appartamento, unico rappresentante del mondo esterno, che con i rumori porterà a far affiorare ricordi pericolosi.

“Sonnambuli” presenta con coraggio una messa in scena in cui conflitti ed eventi risultano anestetizzati e gli attori accolgono magistralmente l’arduo compito di una recitazione “formale”. Complici le immagini reiterate che si svelano in uno spazio a metà, che non racconta se quello in scena sia il momento della chiusura o dell’apertura, dell’inizio o della fine, bianco freddo, illuminato da una luce al neon quasi fosse un macello.
I momenti di verità sono centellinati con il contagocce e quando affiorano il cuore del pubblico ci si aggrappa inutilmente, conscio che sarà solo un momento fugace, come la seconda seduta di psicoterapia, uguale alla prima ma infine, per una volta, senza maschere.

Vera Di Marco

Be the first to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*